Lo chiamavano «Piccio», piccolo, e lui stesso ci ha sempre tenuto a questo nomignolo, usandolo come nome d’arte, per firmare i suoi capolavori. Ma Giovanni Carnovali è stato davvero un grande pittore: uno dei maggiori dell’Ottocento, in Lombardia, in Italia, e perfino nello scenario europeo. Eppure, paradossalmente (ma non troppo), la sua fama non è stata proporzionale al suo talento. Tanto che ancor oggi, per questo artista eccezionale, si deve forse parlare di «riscoperta», almeno per il grande pubblico.
Ecco allora una nuova occasione per farlo: la mostra, a cura di Carolina De Vittori, che da giovedì 6 luglio, e sino alla fine del mese, a Palazzo Verbania a Luino viene dedicata a Giovanni Carnovali detto il Piccio, a 150 anni dalla morte. Una rassegna di una ventina di opere, provenienti per lo più da collezioni private e raramente esposte, che illustrano le diverse fasi della sua produzione pittorica, rivelandone l’impareggiata maestria d’artista e di poeta per immagini (con diverse iniziative collaterali; per informazioni, orari e visite guidate: info@ilpiccio.it, cell. 3280976032). Un omaggio ideato e realizzato dall’associazione culturale che ne porta il nome e che ne custodisce la memoria a Montegrino Valtravaglia, paese dove il pittore è nato nel 1804.
Prodigio a Bergamo
Nel borgo del varesotto, tuttavia, Giovanni trascorse solo i primi anni di vita. Il padre, infatti, che era muratore, emigrò per lavoro nella bergamasca. Fu ad Albino che il bambino, che già tutti chiamavano «Piccio» per la sua corporatura minuta, dimostrò doti precocissime e straordinarie di disegnatore, al punto da essere ammesso all’Accademia di Belle arti di Bergamo appena undicenne, in un crescendo di stupore e ammirazione da parte dei suoi docenti.
Ancora adolescente iniziò a viaggiare fra le città d’arte per studiare dal vivo i grandi maestri italiani: da Firenze a Roma, da Parma a Napoli. Come tanti artisti del suo tempo, certo, ma con una particolarità: Carnovali si muoveva sempre e solo a piedi, autentico pellegrino sulle strade dell’arte, segnalandosi anche in tarda età come un camminatore instancabile.
A poco più di vent’anni aprì uno studio a Milano, ovviamente nella zona di Brera, il quartiere degli artisti. Le sue prime prove, pale d’altare per le chiese bergamasche e ritratti per la nobiltà lombarda, avevano suscitato entusiasmo e grandi aspettative. Alla sua porta, così, cominciarono a bussare clienti sempre più numerosi, attratti dalla sua pittura luminosa, dai toni morbidi e «vaporosi», che prediligeva l’espressività del sentimento alla fredda documentazione storicista.
Il Piccio, tuttavia, non era tipo da accontentare chiunque. E proprio il suo modo nuovo e diverso di concepire la pittura gli valsero, insieme agli elogi di molti, anche le critiche di altri. Carnovali non se ne preoccupava più di tanto, intento com’era a studiare e a seguire le sue inclinazioni. Ma, così facendo, prese presto le distanze dalle accademie e dai circoli culturali alla moda, sempre più insofferente ai salotti: il che lo rese un artista libero (una sorta di bohémien, il primo degli «scapigliati»), al costo di rimanere ai margini della grande committenza pubblica e privata.
A Parigi da Delacroix
Nel 1846 fu molto colpito dal dibattito attorno alla pittura di Delacroix. E, com’era nella sua natura, volle vedere e giudicare con i propri occhi, partendo per Parigi: a piedi, naturalmente. Il Piccio rimase piuttosto impressionato dai lavori del collega francese, trovandovi una consonanza «ideale», pur con le debite differenze: più complesso e impetuoso Delacroix; più intimo e romantico il nostro Carnovali.
Ecco, «romanticismo» è parola chiave nella produzione artistica della maturità del Piccio. Che non è atteggiamento remissivo o inclinazione sdolcinata, ma anzi adesione piena, travolgente, alle grandi passioni della vita: un’immersione totale nella natura come nell’uomo, con una visione che è sempre spirituale e perfino sacra (come rivelano, ad esempio, le sue bellissime Madonne, degne del suo amato conterraneo del Cinquecento, Bernardino Luini).
La morte nel Po
Proprio il suo entusiasmo per la natura gli fu fatale. Nonostante l’età avanzata, era solito nuotare nel Po, vicino a Cremona, dove si era trasferito. Ma il 5 luglio del 1873 un gorgo lo travolse e il suo corpo fu recuperato solo diversi giorni dopo. Una fine tragicamente «romantica». Come romantico, appunto, fu il suo amore per Margherita, la giovane che aveva amato segretamente e che morì prima che avesse potuto dichiararle il suo amore, rimanendo fedele al suo ricordo per tutta la vita.
«Se vuole, ci mette tutti nel sacco», diceva di lui il celebre Francesco Hayez, un po’ preoccupato e sinceramente ammirato. Parole che rimangono come epitaffio di Giovanni Carnovali detto il Piccio. Insieme a quelle dell’amico Trécourt: «In pittura è il genio più deciso che il nostro secolo abbia prodotto».