Come confrontarsi con la natura, comprendendo la fratellanza universale che tutti ci unisce e camminando per le strade del mondo non come se fossimo dei ciechi. Perché «la maggior parte di noi cammina con gli occhi bendati su questa terra senza vederne le bellezze e le meraviglie e senza osservare la straordinaria e, talvolta, terribile intensità di vita che pulsa intorno», secondo quanto scriveva Rachel Carson, biologa americana, nel suo «Primavera silenziosa», da cui si avvia il dialogo tra lo scrittore Paolo Giordano e il cardinale José Tolentino de Mendonça.
Confronto che si svolge al Museo Diocesano con il titolo «A occhi bendati sulla terra» dopo i saluti iniziali porti dalla direttrice, Nadia Righi, che si dice onorata di ospitare l’evento come altri nel contesto di Soul Festival.
Moderato da Armando Bonaiuto, uno dei co-curatori di “Soul”, l’incontro ha visto la presenza di un folto pubblico, attentissimo alle considerazioni del Porporato, prefetto del Dicastero per la Cultura e l’Educazione, biblista e poeta di origine portoghese famoso nel mondo, e dell’altrettanto noto Giordano, già vincitore del Premio Strega, nel 2008, con «La solitudine dei numeri primi».
La primavera silenziosa
«Quello che vorremmo suggerire oggi è di toglierci le bende dagli occhi, pur rimanendo dei ciechi che però vedono qualcosa», spiega il moderatore, dando la parola a Giordano che, appunto, dalla Carson avvia la sua riflessione.
«Rachel Carson, nel 1962, denuncia i danni del Ddt in “Primavera silenziosa”, un best seller mondiale nel quale molti vedono l’inizio e il prefigurarsi dei movimenti ambientalisti. Scrivendo il libro, sapeva di dover morire di cancro al seno, ma tenne nascosta la malattia perché sapeva che le multinazionali le avrebbero fatto la guerra, e voleva finire il suo lavoro. Il romanzo che non riuscì, invece a terminare, si intitolava “Il senso della meraviglia”». Quindi, un’autrice quasi obbligata per un Festival che ha fatto della meraviglia la sua parola-chiave. «Forse, oggi – prosegue, infatti, Giordano – , il portato di Carson è che ciò che lei ha denunciato non sarebbe stato possibile se non avesse unito la consapevolezza scientifica della natura con la sensibilità poetica, cosa che noi oggi continuiamo a separare. Carson posa uno sguardo poetico che rende possibile la denuncia».
Chiamati a realizzare fratellanza
Sull’idea di Dio, si sofferma Tolentino: «Dio è una questione aperta per credenti e non, per gli atei, e in questo orizzonte ci muoviamo tutti. C’è in noi una cecità fondamentale e il titolo di questo incontro avrei voluto scriverlo in una delle mie poesie, perché mi sento tante volte così: bendato di fronte a qualcosa di tanto più grande di noi. La questione è che la consapevolezza che siamo “in una spirale dove tutto converge”, come diceva Teilhard de Chardin, è molto lenta a svilupparsi».
«Sia la scienza, sia la poesia, sia la letteratura sono forme di conoscenza del mondo, per leggerlo più in profondità. Sapere che l’uomo non è il despota, ma un suo custode sensato, è un modo molto recente di comprendere le cose. Ci vediamo ancora separati dalla natura e, in questo senso, camminiamo come bendati sulla terra. Dobbiamo capire che viviamo in un ecosistema organico dove siamo chiamati a realizzare una fratellanza, maturando uno sguardo più ampio sulla vocazione di tutti gli esseri viventi. La fratellanza è una decisone – e non una scelta del sangue – tanto che all’inizio della Bibbia vi è un fratricidio. Niente deve essere dato per scontato, come dimostra il diluvio e il patto archetipico tra Dio e Noé. Anche oggi abbiamo bisogno di un nuovo patto, che possa coinvolgere tutta la creazione, di una saggezza. Solo la coscienza di camminare in un’interdipendenza gli uni dagli altri, ci può permettere di andare avanti. Il primo segno di una civilizzazione – come diceva l’antropologa americana Margaret Mead -, è un femore guarito, ossia il fermarsi e aiutare qualcuno che è rimasto ferito».
La civiltà inizia con la compassione
Aggiunge il Cardinale: «La compassione è la capacità della misericordia, essendo vicini alla vita vulnerabile. Ora che la tecnologia ci conduce su nuove forme culturali, dobbiamo avere ben presente che solo una civiltà capace di compassione può avere un futuro, altrimenti diventeremo sempre più ciechi e incapaci di vedere un cammino di speranza in questo mondo che, infatti, si affida al nichilismo che non è una buona guida per l’umanità, perché conduce alla barbarie pura. Questo deve interessarci e per questo dobbiamo lavorare. Il diluvio della Scrittura è l’anti-creazione e testimonia che la catastrofe è sempre possibile: per questo papa Francesco, nell’Enciclica Laudato si’, usa toni forti per svegliarci. Il diluvio non è una parabola, ma si realizza davanti ai nostri occhi».
«Conoscere non è neanche lontanante importante quanto sentire» diceva la Carson – richiama ancora Giordano -, ma c’è un punto in cui la conoscenza diventa nemica della meraviglia, anche se imparare è generatore di meraviglia, ed è quando la meraviglia della natura crea ansia e preoccupazione, come per esempio, nella malattia tutta contemporanea che è l’eco-ansia».
«Occorre uscire dalle raccomandazioni morali sulla salvaguardia della natura – che non parlano più a nessuno -, creando, invece, immagini della crisi, ad esempio, della biodiversità e questo è compito dei poeti», riflette lo scrittore che cita un esempio: «I camionisti americani, che percorrono migliaia di km da una costa all’altra degli States, si sono accorti, da qualche anno, che i parabrezza dei loro mezzi rimangono puliti, perché non ci sono più insetti che impattano sul vetro. Noi dobbiamo intervenire sulla natura, ma il problema è come, mentre oggi si assiste a un’estremizzazione per cui, per molti, c’è una natura comunque buona e un uomo comunque cattivo»
E se è innegabile che esista una retorica del ritorno alla natura, anche per Giordano, «ogni idea porta con sé il fanatismo, se viene staccata dalla comprensione della fratellanza»..
Imparare dalla natura
Infine, sollecitato da Bonaiuto che chiede «Possiamo imparare dalla natura a crescere?», il cardinal Tolentino risponde. «La natura ha un impatto enorme sulla nostra sensibilità e intelligenza. Un giardino è importante come una biblioteca perché ci aiuta a conoscere il mondo e noi stessi dal punto di vista spirituale. Io credo in quello che diceva Cristina Campo, “Noi non nasciamo innocenti, ma possiamo morire innocenti”. L’incontro con la natura è prezioso non perché conduce l’uomo a essere altro da se stesso, ma perché ci umanizza e ci insegna a usare i nostri sensi. Nel mondo odierno mi sembra che manchi quella contemplazione decisiva, la quale, nella sua etimologia, vuole dire fare del tempo un tempio, osservando una porzione di cielo. Non dimentichiamo le parole di Bernardo di Chiaravalle: «Troverai più nei boschi che nei libri. Gli alberi e le rocce ti insegneranno cose che nessun maestro ti dirà»