È una curiosità di natura leonardesca quella che ci ha condotto a Oggiono, nell’alta Brianza lecchese. Il desiderio di conoscere il borgo del cui nome volle fregiarsi uno degli allievi prediletti del grande maestro toscano, a memoria delle sue stesse origini famigliari: Marco d’Oggiono, appunto. E di rintracciarne, magari, la luce di certe atmosfere, il nitore di determinati paesaggi, forse soltanto inconsciamente evocati, più che volutamente ritratti. Le tracce di una pittura per così dire “genetica”, chissà, sotto il lavorio dell’intenso apprendistato milanese…
Sapevamo, del resto, che del nostro Marco la prepositurale di Oggiono conserva un grandioso polittico. Quello che ora ammiriamo sulla parete sinistra della navata, incastonato in una intelaiatura ottocentesca, tardo ma non ingrato risarcimento a funesti smembramenti passati.
Al centro la Vergine che viene assunta in cielo, fra lo stupore e la commozione degli apostoli, figli mai più orfani del divino affetto materno. In alto, l’Eterno che, con una corona fra le mani, attende colei che ha creato dall’eternità immacolata per accogliere il Verbo. Attorno, sante e santi cari alla tradizione lombarda: Eufemia, innanzitutto, martire di Calcedonia a cui questa stessa pieve brianzola da tempo immemore è dedicata; e poi Ambrogio, il vescovo patrono diocesano; quindi Apollonia, che stringe la tenaglia degli inutili tormenti; Stefano, il protomartire lapidato; Francesco stimmatizzato e Bernardino suo epigono nella carità; e infine gli inseparabili Sebastiano e Rocco, insieme protettori contro il flagello delle pestilenze.
Lavoro tardo, ma non stanco, forse addirittura ultimo del d’Oggiono, realizzato cioè attorno al 1524, e quindi ancora più intrigante, ancora più suggestivo, nel pensiero di una sorta di testamento artistico e spirituale del pittore nato e cresciuto nel cuore del ducato di Milano, ma che infine ritorna nei luoghi dei suoi avi, come un estremo congedo che il cerchio chiude.
Un’opera che per certi versi appare come di “maniera”, è vero. Perchè se di Leonardo non fu probabilmente il discepolo più dotato, né quello più creativo, Marco seppe tuttavia farsi apprezzare dal suo mentore proprio per una non comune diligenza, per un’adesione pronta e fedele agli schemi della nuova pittura vinciana, così eclatante e rivoluzionaria in terra lombarda. Tanto da aprire presto una sua bottega, con commissioni importanti – pontificie e principesche – da parte di chi sapeva di poter contare su di lui, il d’Oggiono, per ritrovarne gli accenti.
Un altro saggio della sua pittura, anche se assai rimaneggiato (o forse soltanto di bottega), lo ritroviamo nella cappella che si apre quasi di fronte al polittico, con una delicata Madonna in trono col Bambino fra sant’Eufemia e santa Caterina d’Alessandria. Affresco problematico, in realtà, perchè pervaso da un affascinante, ma in fondo non poi così insolito, sincretismo culturale che somma dettagli ancora tardogotici con un linguaggio dichiaratamente altorinascimentale…
Di antichissima fondazione, e più volte rifatta e ampliata fino al secolo scorso, la prepositurale oggionese riserva poi al fedele e al visitatore altri motivi di interesse, e non più e non solo di matrice leonardesca. Come un sorprendente Crocifisso ligneo cinquecentesco, ad esempio, di dimensioni pari al vero, dove i chiodi non trafiggono le palme delle mani del Cristo, come solitamente accade in simili raffigurazioni, ma ne perforano i polsi, così come è mostrato dall’immagine stessa della sacra Sindone! Di bell’impatto è anche lo Sposalizio della Vergine dipinto nel 1790 da Andrea Appiani.
Ma le vetuste origini plebane di Oggiono si scoprono una volta tornati sull’arioso sagrato, dove lo sguardo abbraccia l’elegante mole della chiesa e scopre, nell’ombra del lato destro, l’antico battistero di San Giovanni. Splendida architettura del miglior romanico d’ascendenza comasca dell’XI secolo, s’erge come un monolite di pietra, i massi accostati quasi senza fessure: fortezza inespugnabile a respingere ogni assalto maligno, a proteggere i catecumeni che alla vera fede chiedono di essere ammessi. Esternamente un ottagono perfetto (simbolo della rinascita, del compimento dell’universo creato), che si interseca, al suo interno, in una pianta circolare che rimanda all’idea di infinito. Trasformato improvvidamente in sacrestia nel Settecento, l’edificio battesimale fu recuperato nelle sue forme medievali su consiglio del cardinal Schuster, che lo consacrò nuovamente nel 1943.
Poco oltre, verso la strada, s’alza l’alta colonna con l’effigie della patrona Eufemia, vigile castellana del borgo, di barocca eleganza ma forse già ideata ai tempi della visita di san Carlo. Come pertinenti all’epoca borromaica, per lo più, sono anche altri sacre testimonianze, monumenti della pietà che segnano il territorio di Oggiono, dal santuario di San Lorenzo alla chiesuola del Lazzaretto.
Ma è la scalinata che sale lieve a settentrione ad attirarci. Che sfocia in uno spiazzo inaspettato, con al centro la croce della missione predicata dai padri passionisti all’indomani della tragedia dell’ultima guerra. Una balconata nel verde, protesa sulle scure acque del Lago d’Annone, in faccia alla Grigna, il Resegone di lato. Una visione che accende la meraviglia nello sguardo, e la gratitudine nel cuore. Sì, adesso sappiamo dove Marco d’Oggiono attinse infine i suoi colori dell’anima.