La vitalità e il prestigio di un’istituzione museale si “misurano” anche sulle donazioni che essa riceve. Come accade al Museo Diocesano di Milano, oggetto di continui e importanti lasciti di opere d’arte che vanno ad arricchire le sue collezioni permanenti: segno di una stima, e persino dell’affetto, costruiti e confermati negli anni per una realtà che ha saputo diventare un vero punto di riferimento culturale. E non solo per il territorio ambrosiano.
L’ultima di queste donazioni è stata presentata in questi giorni: un piccolo gruppo di grandi opere lasciato in eredità al Museo Diocesano da Letizia Casati, recentemente scomparsa, anche in memoria del marito Gualtiero Schubert (1915-1990), famiglia dal nome storico nel mondo dell’antiquariato nazionale e internazionale.
Bellissimo, infatti, è il tondo raffigurante la Madonna col Bambino e due angeli, un’opera attribuita al Maestro di San Miniato, databile fra il 1460 e il 1490. Fiabesco nei toni, ricco di preziosi dettagli, il dipinto è come ammantato da un’atmosfera di dolce malinconia, che si rivela nella gestualità elegante delle figure e negli sguardi pensosi della Vergine e delle creature angeliche.
Si tratta di un lavoro tipico della scuola fiorentina del Quattrocento più maturo. Di un artista, cioè, che ben conosce lo stile di Botticelli e le formule del Ghirlandaio, ma che non rinuncia ai modelli dell’ormai lontano Beato Angelico, sentendosi però particolarmente affine alla grazia espressiva di Benozzo Gozzoli e alla sensibilità pittorica di Filippo Lippi…
Un personaggio non secondario della Firenze della seconda metà del XV secolo, insomma, e tuttavia dal profilo piuttosto sfuggente e misterioso, tanto da essere genericamente indicato, da Berenson in poi, con il nome di “Maestro di San Miniato”, appunto, dall’autore di una sacra conversazione nella chiesa dei Santi Jacopo e Lucia a San Miniato al Tedesco, in provincia di Pisa. E al quale, dunque, sono ricondotte molte opere – anche troppe, come ironizzava Federico Zeri già cinque lustri fa -, conservate in varie collezioni italiane e straniere (ma la più vicina al tondo Schubert ci pare essere proprio la tavola del Denver Art Museum). Anche se oggi gli studiosi tendono a identificare il nostro pittore con quel Lorenzo di Giovanni che aveva bottega «al canto della via de’ Servi», all’interno dello Spedale di San Matteo.
Più antiche, ma ugualmente affascinanti, sono le due tavole dell’Annunciazione attribuite dalla critica a uno dei protagonisti della pittura toscana a cavallo fra Tre e Quattrocento: Gherardo di Jacopo Neri detto lo Starnina. Le due opere – l’una con l’arcangelo Gabriele, l’altra con Maria che riceve l’annuncio – fanno parte di un grandioso polittico, probabilmente destinato a una delle più importanti chiese di Lucca, ora disperso, ma che potrebbe essere ricostituito in una mostra futura, proprio a cura del Museo Diocesano di Milano. Nelle cui sale, comunque, i nuovi dipinti donati dagli Schubert possono essere messi a confronto da subito con la Madonna col Bambino sempre dello Starnina, notevole esempio di gotico internazionale secondo il gusto di Firenze.
Terzo elemento del lascito Schubert, infine, è una pregevole Croce-reliquiario in argento, risalente alla prima metà del XIII secolo, che proviene dai Paesi Bassi. Un’iscrizione sul manufatto stesso, infatti, la riconduce in particolare alla città di Utrecht, centro cattolico per eccellenza dell’Olanda (ha dato i natali anche a un pontefice, Adriano VI), dove sorgevano numerose chiese e monasteri.
Ma poche sono oggi le testimonianze di oreficeria sacra dell’epoca medievale di quel territorio giunte fino a noi, così che questo nuovo pezzo del Diocesano assume un valore e un significato davvero particolare.