L’opera Consul Dei. Adriano Bernareggi (1884-1953) ripercorre minuziosamente il lungo itinerario umano, culturale e spirituale di uno tra i più autorevoli esponenti dell’episcopato italiano nella prima metà del Novecento, legato da vincoli di profonda amicizia con il futuro papa Giovanni XXIII. Suonano del tutto pertinenti le parole pronunciate ai suoi funerali, il 27 giugno 1953, dal patriarca di Venezia, cardinale Angelo Giuseppe Roncalli: «Gran perdita per l’episcopato italiano… Monsignor Adriano Bernareggi godeva di un’alta fama nel mondo ecclesiastico, e io vi posso dire, non nell’ambiente ecclesiastico e civile d’Italia solamente, come di prelato da non poter misurarsi col metro comune».
Originario di Oreno (MB), dopo aver completato la sua formazione giuridica e teologica a Roma, Bernareggi insegna nel Seminario di Milano contribuendo alla riforma degli studi ecclesiastici. Dotato di una spiccata sensibilità artistica, dirige la rivista “La Scuola Cattolica” facendo di essa uno strumento per l’aggiornamento culturale e il rinnovamento della liturgia e degli studi biblici.
Approdato all’esperienza pastorale diretta come parroco di San Vittore al Corpo, negli anni del fascismo si prodiga per favorire una cultura democratica, dove alla Chiesa sia garantita libertà di azione e i cattolici possano contribuire alla crescita sociale e civile del Paese.
Eletto vescovo coadiutore di mons. Marelli alla sede di Bergamo, Bernareggi percepisce i primi venti di crisi della societas christiana e incentra il suo programma episcopale su un modello di Chiesa caratterizzata da un forte cristocentrismo e perciò anche capace di dialogare con la cultura moderna. Nel suo ventennale ministero episcopale, promuove il rinnovamento liturgico, offre spunti importanti per ripensare l’identità e la missione sacerdotale, incoraggia le forme di partecipazione democratica del laicato cattolico alla vita politica, ipotizza un nuovo concilio e coltiva un progetto di riforma ecclesiale.
Dai tre volumi del dottor Alessandro Persico emerge che una delle principali attenzioni di monsignor Bernareggi, prima come insegnante poi come vescovo, è stata la formazione teologica del clero. Già nel 1926, insieme ad altri docenti del Seminario maggiore di Milano, egli sostiene la necessità di innalzare la qualità teologica degli aspiranti al sacerdozio. Ritiene non soltanto che il percorso teologico vada arricchito di contenuti, ma anche che debba essere garantito il suo raccordo con il ministero pastorale nella società moderna. Occorre trasmettere al chierico una visione larga del presente, attraverso nuove categorie storiche e sociali, e formare una sensibilità in grado di rispondere all’ansia spirituale dell’uomo moderno, una spiritualità liturgica intesa come senso del mistero vissuto nella partecipazione della comunità cristiana. Egli coglie l’istanza, che in quegli anni veniva soprattutto dal mondo accademico tedesco e francese, di ritrovare una continuità fra pensiero moderno e cultura ecclesiastica, tra sapere laico e scienze sacre.
Diventato vescovo di Bergamo, Bernareggi aggiorna il programma degli studi seminaristici, insistendo su temi quali l’accento trinitario della fede cristiana, l’inabitazione nella teologia patristica, l’Eucaristia quale fondamento del Corpo Mistico ecclesiale, l’evoluzione del dogma, il valore soteriologico della Risurrezione di Cristo quale principio di rigenerazione dell’uomo, l’azione dello Spirito Santo. Egli intende dare alla formazione sacerdotale una forte impronta cristologica e liturgica. Per esempio, nella costruzione del Seminario di Clusone, vuole che la cappella sia il baricentro dell’intera struttura così che il seminarista comprenda che tutta la sua vita, di chierico prima e poi di sacerdote, deve avere Cristo come centro e tendere a Cristo come fine. Invita i chierici a sentire l’ingresso nella chiesa come un’immersione mistica, un’ascesa a Dio. Le vacanze a Clusone diventano un’occasione di approfondimento teologico, liturgico e pastorale. Grazie alle sue amicizie, ai corsi estivi invita alcuni degli esponenti più importanti del rinnovamento liturgico e teologico: Neunheuser, monaco di Maria Laach, Giulio Bevilacqua, Salvatore Marsili, Carlo Colombo…
Per Adriano Bernareggi, il fine ultimo della teologia è l’acquisizione della vera sapienza, come scrive in un bellissimo appunto del 20 ottobre 1933: «Sapienza è gustare Dio, e per questo tutto dare, lasciarsi tutto togliere e tutto abbandonare che non sia Dio o in Dio, perché Dio è il solo bene e in lui solo ogni cosa ha sapore. La Sapienza è il più grande dono dello Spirito ed è la perfezione della vita, fondendosi nella carità, che è pure vivere Dio e Dio solo. La sapienza, dono ordinato alla carità in modo particolare, è in un certo senso la carità conosciuta, pensata, mentre la carità è la sapienza vissuta. La sapienza è solo dei forti, perché bisogna essere coraggiosi per accostare la propria bocca a Dio per gustarne la dolcezza, sapendo che poi nessun’altra cosa sarà possibile gustare, che anzi, dopo, tutto sarà disgustoso se manca il sapore di Dio. Sapiente è chi ha già lasciato tutto e dato tutto, e non ha più per sé se non Cristo. Ma per arrivare a questo lunga è la via. È facile vedere la meta, ma non sempre facile è il raggiungerla. Quante cose occorre abbandonare! E l’anima alle volte le abbandona ad una ad una, talora a pezzo per pezzo. E non sempre l’abbandono è volontario, ma solo per la violenza di Dio, che ci toglie o ci costringe a lasciare».