Come una scia luminosa di “polvere di stelle” ci ha lasciato Monica Vitti, attrice pilastro del cinema italiano sulle scene dalla fine degli anni Cinquanta. Nata Maria Luisa Ceciarelli, romana classe 1931 (aveva compiuto 90 anni lo scorso novembre), si è spenta nella capitale mercoledì 2 febbraio, dopo una lunga malattia invalidante. Le sue ultime apparizioni risalgono all’inizio degli anni Duemila, poi si è ritirata a vita privata protetta dall’amore del marito Roberto Russo.
Raccontare in poche righe Monica Vitti risulta difficile, quasi stridente. Nel corso della sua quarantennale carriera tra cinema, teatro e televisione, la Vitti ha unito l’alto e il basso, il colto e il popolare, apprezzata dalla critica e amata, anzi amatissima, dagli spettatori.
L’amore della gente
Nella sua carriera ha vinto tutto, o quasi: tra i principali riconoscimenti si ricordano cinque David di Donatello, tre Nastri d’argento e ben dodici Globi d’oro, un Orso d’argento al Festival del Cinema di Berlino e un Leone d’oro alla carriera alla Mostra del Cinema della Biennale di Venezia nel 1995. Il suo più grande riconoscimento, però, è stato il costante sostegno popolare, quel diffuso amore della gente comune, attraversando più generazioni nei decenni.
Lei, che si è imposta nell’orizzonte cinematografico nazionale ed europeo con gli innovativi sguardi intimisti, dolenti, di Michelangelo Antonioni – “L’avventura” (1960), “La notte” (1961), “L’eclisse” (1962) e “Deserto rosso” (1964) –, è entrata come un uragano nell’immaginario popolare tra gli anni ’60 e ’70 come la regina della risata dolceamara attraverso pellicole quali “La ragazza con la pistola” (1968) di Mario Monicelli, “Amore mio aiutami” (1969) di e con Alberto Sordi, “Dramma della gelosia” (1970) di Ettore Scola e “Polvere di stelle” (1973) di nuovo con Sordi.
Il coraggio di sperimentare
Come ricorda il critico Massimo Giraldi, presidente della Commissione nazionale valutazione film della Cei (Cnfv): «Il tratto predominante della carriera della Vitti è stato quello di saper alternare con intelligenza e disinvoltura il cinema considerato d’autore con il fiorente filone della commedia all’italiana, stringendo riusciti sodalizi con Mario Monicelli, Dino Risi, Steno, Ettore Scola e Luigi Magni. La via della risata non ha tolto però alla Vitti quel senso della ricerca nel cinema sperimentale, tornando così a lavorare con Antonioni nel 1980 con “Il mistero Oberwald”. E ancora prima, nel 1974, l’esperienza con Luis Buñuel nel film “Il fantasma della libertà”».
Monica Vitti ha sorpreso tutti. È passata dall’esplorare i tormenti esistenziali disegnati da Antonioni, tra silenzi ingombranti e sguardi rumorosi, al fragore liberatorio della sua risata, una risata non perfetta, persino roca, ma coinvolgente e di grande intensità.
E nel panorama del cinema italiano si è imposta assolutamente in una posizione di primo piano insieme alle altrettanto divine Anna Magnani, Sophia Loren, Gina Lollobrigida, Silvana Mangano, Giulietta Masina e Claudia Cardinale. A ben vedere, la Vitti è stata una delle pioniere sullo schermo della risata al femminile insieme a Franca Valeri e Mariangela Melato.
Drammatica e comica
Un talento eccellente, se non unico, nel fondere registro drammatico e comico, nel percorrere quell’ironia colta e scanzonata, anche fortemente autoironica.
E poi come non ricordare i suoi duetti artistici, in primis con Alberto Sordi: dai citati “Amore mio aiutami” e “Polvere di stelle” agli altrettanto noti “Le coppie” (1970) di Mario Monicelli, Vittorio De Sica e dello stesso Sordi come pure “Io so che tu sai che io so” (1982) sempre firmato e interpretato da Sordi. Insieme i due erano davvero “polvere di stelle”, scintille in scena, capaci di stupire, ammaliare e intenerire grazie alla partitura di sentimenti che mettevano in campo.
Ancora, è da richiamare la sintonia recitativa con Carlo Giuffré e Stefano Satta Flores nel film rivelazione “La ragazza con la pistola”, dove Monicelli per primo le ha schiuso ufficialmente le porte della commedia, come pure le affinità comiche con Marcello Mastroianni e Giancarlo Giannini sul set di “Dramma della gelosia” firmato Scola. Senza dimenticare, infine, le risate copiose con Nino Manfredi (“Basta che non si sappia in giro”, 1970) e soprattutto con Ugo Tognazzi (“L’anatra all’arancia”, 1975; “Scusa se è poco”, 1982).
Diva sì, ma anche solidale
Come sottolinea nuovamente Giraldi: «Monica Vitti ha saputo costruire in scena vive e vivaci intese anche con altre note protagoniste del cinema italiano, tra cui Claudia Cardinale nel film “Qui comincia l’avventura” di Carlo Di Palma del 1975. La Vitti non ha mai avuto paura di confronti eccellenti, di essere adombrata o di adombrare. È sempre stata un’interprete risolta e solidale, come dimostrano i duetti con Edwige Fenech (“Amori miei”, 1978) e Catherine Spaak o Milena Vukotic (“Per vivere meglio, divertitevi con noi”, 1978)».
Monica Vitti va ricordata come un’artista, una donna, profondamente libera, solida e acuta, (auto)ironica che ha scelto consapevolmente i propri passi professionali e personali. Si è messa in gioco, senza pensare alla perfezione della sua immagine da diva. Senza paura. Una donna che ha lasciato e continua a lasciare un segno nella nostra industria culturale, artefice di un racconto sociale attento e sagace, che ha contribuito inoltre a liberare l’immagine femminile dai troppi stereotipi dello schermo. Monica Vitti è stata un astro, e la sua “polvere di stelle” è destinata a brillare nel tempo, nella nostra comune memoria culturale e sociale.