«Dirmi che non c’è più nulla da fare non mi serve, dirmi che ho il fegato in grave sofferenza non mi serve. Dirmi che sto morendo non mi serve. Mi serve invece continuare a fare quello che ho sempre fatto, la moglie, la madre. Mi serve sapere che, se il tumore mi mangerà tutto il corpo, il mio spirito crescerà nel desiderio di donare amore. La scienza ha perso, l’amore no».
È un “inno alla vita” Fino all’ultimo respiro. L’assalto del tumore, la forza della fede, il diario di Chiara Buzzetti, uscito da poche settimane nella collana “Piume” di Ipl (14 euro, 144 pagine). È il diario di una sposa e madre che, nella lotta quotidiana e nella sofferenza terribile causata da una malattia che in pochi anni l’ha portata alla morte, non rinuncia mai allo sguardo di fede sulla propria vita.
Gli ingredienti del dolore ci sono tutti: Chiara ha solo 49 anni e sta per lasciare il marito e cinque figli; il tumore la priva progressivamente della capacità di leggere e scrivere; i dolori si fanno via via più atroci; le domande sul “perché” di tanta sofferenza non tardano ad affiorare, insieme all’invocazione a Dio, perché passi presto. Le pagine del diario raccontano tutto questo. Ma non si fermano qui. Chiara lascia trasparire una passione incondizionata per la vita e una serenità di fondo che rasenta l’incomprensibile. Quando Francesco decide di dare alle stampe il diario della moglie è consapevole che questa vicenda è una preziosa testimonianza di amore, che può far bene a tutti, per primi a lui e ai loro figli. «Chiara ha lasciato una grande eredità in me, nei nostri figli e in coloro che l’hanno incontrata e conosciuta anche se per poco tempo – scrive nell’introduzione -. Il Signore ci ha fatto la grazia di vivere interamente la nostra vocazione matrimoniale, da quel sì pronunciato venticinque anni fa, sino a tutti quelli poi seguiti per le sei gravidanze accolte, per i cinque figli viventi e per un piccolo mai nato, certamente ora nel cuore di Dio. Ha vissuto una vita piena come madre e sposa, in ogni sua scelta personale, professionale e familiare, condividendone con me le gioie e le fatiche, ma soprattutto vivendo una intensa relazione con Dio nella preghiera. Un insieme di pensieri, un percorso che ha attraversato il momento della prova, del buio interiore, del dubbio, per sfociare poi nell’adesione piena a questa nuova missione di vita che è stata quella di accogliere la malattia e viverla con noi e per tutti noi con gioia, serenità, dedizione, rimanendo fedele al proprio ruolo di madre e moglie fino all’ultimo».
«Un diario così – commenta don Francesco Scanziani, che ha frequentato la casa di Chiara e Francesco – merita di essere letto come un compagno di viaggio, una guida nel cammino. Non è un ricettario, semmai un aiuto per specchiarsi, lasciarsi prendere per mano per vivere nella fede ciò che il quotidiano consegna. Abbiamo bisogno di fratelli e sorelle così. In fondo, siamo diventati grandi grazie a incontri simili. È così che abbiamo imparato a vivere!».
Con le poche energie che le restano e faticando enormemente a tenere i margini del foglio su cui scrive, poco prima di morire Chiara consegna una sorta di “testamento” ai suoi figli: «Volevo dirvi che sono tanto felice di avervi come siete e che nella vita il nostro compito è quello di diventare santi, perché alla fine cosa c’è di più importante della santità? Non è solo pensare che Gesù vi ama tantissimo e quindi vi vuole migliori, ma nella vita bisogna diventare e fare del nostro meglio per essere felici. Se volete essere felici dovete diventare migliori, parlare di cose positive, buttare via il male e pensare che il nostro lavorare serve a qualche altro per aiutarlo a vedere le cose in un modo diverso. Non siate pessimisti, ma credete in voi stessi perché il vostro fare, se pur piccolo, ma fatto con passione, serve a costruire qualcosa di bene sempre e quindi, se al momento non vedete i risultati, prima o poi li vedrete, li vedrete!».