“Catechesi, arte, cultura e territorio” sono le parole chiave del convegno “L’arte del credere” svoltosi a Modena il 19 e il 20 aprile, organizzato dai quattro uffici della Segreteria generale della Cei – l’ufficio catechistico, quello per i beni culturali ecclesiastici, quello per la pastorale dello sport, turismo e tempo libero e l’ufficio per il progetto culturale. L’obiettivo è quello d’incontrare le diverse realtà coinvolte, rilanciando le esperienze diffuse in un vivo confronto e favorendo il crescere dell’attenzione e delle energie impegnate in questo campo. Da qui l’idea di lavorare divisi in tre workshop: “L’arte racconta la fede”; “I beni culturali ecclesiastici, ‘luogo’ per percorsi di arte e fede”; “Fede e arte camminano insieme”.
L’arte parla sempre di Dio.
L’arte “deve mostrare dentro ogni cosa Dio, il reale anelito alla trascendenza, l’intimo e inconsapevole desiderio d’incontro con Dio” ha spiegato don Massimo Naro, docente di teologia dogmatica e direttore del Centro studi “Cammarata” di San Cataldo, introducendo il convegno. Pertanto sia la Chiesa sia gli artisti sono chiamati insieme a “educare alla fede (anche educandosi a vicenda), rendendo accessibile e commovente a tutti il mondo di Dio. Il compito dell’arte è meravigliare; bisogna suscitare meraviglia per rendere il mondo più luminoso e bello. Occorre guardare il mondo con gli occhi di Dio, imparare ad ascoltare l’uomo con le stesse orecchie di Dio” ha insistito don Naro.
I destinatari dell’impegno formativo ed educativo artistico “sono gli uomini e le donne della nostra epoca, il popolo ecclesiale, ma anche gli artisti stessi, perché il mondo ha bisogno di testimoni credibili. Oggi più che mai dobbiamo sentire la responsabilità di diventare testimoni con una comunicazione vivente, una sorta di contagio, perché insegnare la fede anche attraverso l’arte ha un’efficacia performativa, vuol dire insegnare il Vangelo”.
Per Jean-Paul Hernández, fondatore e coordinatore del progetto internazionale “Pietre Vive”, “l’arte è una testimonianza autobiografica dell’artista e quando si tratta di arte sacra è la testimonianza della sua fede resa visibile, come una preghiera messa a disposizione, un’esperienza molto intima, con un proprium teologico. Quando poi non si tratta di arte sacra, lo diventa perché l’uomo è sacro nel senso che dentro all’uomo c’è l’inquietudine religiosa, la sete confessata o inconfessata di Dio. L’arte è anche un racconto “che affascina, che muove le persone perché rispecchia e tocca la loro vita. Nello spiegare l’arte si vive un’esperienza di fede, con un duplice confronto: con l’opera d’arte stessa nei secoli e con il turista, in una dimensione di comunione con chi ti ha preceduto e con chi c’è oggi”.
Il pellegrino e l’arte.
“La pastorale del turismo, sport e tempo libero è un’esperienza di missionarietà di frontiera, ci mette nel mondo e ci fa incontrare persone diverse anche nell’esperienza del pellegrinaggio come vero atto di culto” ha spiegato monsignor Mario Lusek, direttore dell’Ufficio Nazionale per la pastorale del tempo libero, turismo e sport. “C’è una riscoperta forte nei nostri territori dei beni culturali, dell’ospitalità religiosa, degli itinerari museali, delle feste religiose, ecc. tutte dimensioni che mettono al centro le relazioni, infatti anche l’elemento dell’arte ci dà la possibilità di veicolare nel turismo dei percorsi di valore e non di marketing: le vie della bellezza e dell’interiorità”.
Fra i vari percorsi di valore monsignor Paolo Giulietti, vicario generale dell’arcidiocesi di Perugia-Città della Pieve, si è soffermato sul pellegrinaggio, in particolare sul rapporto fra il cammino, l’arte e la fede: “Il pellegrinaggio a piedi rivela l’atto del viaggiare dell’uomo, ciò che lo distingue è un viaggiare consapevole, orientato all’approccio dell’altro, al sé e alla trascendenza”. Secondo mons. Giulietti il rapporto fra l’arte e il cammino di un pellegrino si può definire strutturale e speciale, infatti chi cammina vive con l’arte un legame profondo, intrinseco e diverso dal turista perché l’arte diventa la protagonista con cui entrare in relazione, ma può anche definirsi educabile, che può crescere e cambiare”.
La narrazione dell’arte e della fede.
“Non si guardi l’arte solo come uno strumento, perché sarebbe riduttivo e facilmente banalizzabile” ci ha tenuto a sottolineare nelle conclusioni don Guido Benzi, direttore dell’Ufficio catechistico nazionale. “L’arte produce realtà, si può pensare all’arte come al modo di entrare dentro una testimonianza, entrare in un racconto che richiama il grande racconto fra l’uomo e Dio. Narrare l’uomo in quanto immagine di Dio. Questo tipo di narrazione è l’atto fondamentale della Chiesa, che continua a riannunciare la risurrezione, è allora su questo punto che si potrebbe continuare a lavorare a partire dai caleidoscopici punti di vista (pellegrinaggio, museo, narrazione di idee, fatti, avventure delle chiese locali, ecc.) che caratterizzano la nostra Chiesa”.