Ispira immediata simpatia quella faccina rotonda che fa capolino da alcuni bei capitelli nel chiostro: un sole dall’espressione ora bonaria, ora malinconica, abbracciato da una falce di luna e contornato da raggi affilati come lame o morbidi come riccioli. È un po’ il simbolo dell’abbazia di Mirasole, che sorge solitaria e splendida nel cuore della Bassa milanese, fuori Porta Vigentina, ma già nel comune di Opera. Un simbolo che oggi è stato ripreso anche nello stemma della Provincia di Milano.
Il nome stesso, “Mirasole”, per l’appunto, le derivò probabilmente dall’orientamento della fronte della chiesa abbaziale, che è volta a mezzogiorno: cosa non comune per i canoni dell’architettura sacra medievale, ma in linea con altre simili scelte operate nel territorio ambrosiano dall’ordine religioso degli Umiliati. Furono infatti proprio costoro, nella prima metà del XIII secolo, a stabilirsi in quest’area, lasciandoci un perfetto esempio di quelle “grange” dove fede e preghiera si sposavano alle esigenze di un’economia agricola a carattere intensivo.
Per la sua struttura a quadrilatero, dominata da una torre che un tempo era fornita perfino di ponte levatoio e circondata in antico da un fossato, l’abbazia di Mirasole si presenta come l’ultima “fattoria fortezza” rimasta in terra lombarda. Due erano gli ingressi, uno dalla città, l’altro dai campi, che immettevano nella spaziosa corte agricola, sulla quale, per secoli, si sono affacciate le stalle, le abitazioni dei contadini e, a settentrione, gli ambienti adibiti all’industria della lana. Attorno al chiostro, che nella forma attuale risale agli inizi del XV secolo, trovavano posto inoltre i locali un tempo destinati a refettorio, cucina, sala capitolare e sacrestia, mentre il dormitorio e il granaio erano al piano superiore.
Anche la chiesa fu eretta tra il Tre e il Quattrocento (ampliando una preesistente cappella, di cui rimane il notevole campanile in laterizio), e ancor oggi appare nella sua semplicità come il luogo della preghiera corale di una piccola ma laboriosa comunità monastica, dalla spoglia pianta ad aula unica con abside quadrata: un modello caro agli Umiliati, con evidenti influssi cistercensi, che venne ripreso anche in altre loro fondazioni milanesi. Con suggestivo contrasto, tuttavia, nell’abside si ammirano splendidi affreschi con la raffigurazione dell’assunzione in cielo di Maria, attribuibili ad un maestro lombardo non ancora identificato, ma sicuramente attivo attorno al 1470, ispirato dal Foppa ma ancora vicino ai modi sforzeschi del Bembo.
All’esterno, la facciata a capanna in cotto, di chiara impronta lombarda, presenta tre monofore disposte simmetricamente al vertice, con un rosone dalla semplice decorazione in cotto. Particolarmente interessante è un bassorilievo murato nel pilastro destro, raffigurante l’Agnus Dei con, in basso, dei frati che celebrano la messa: si tratta dell’antico stemma degli Umiliati stessi, che allude evidentemente al modello di vita, cristianamente ascetico e operoso, perseguito da quell’ordine, diventando, al medesimo tempo, simbolo della fede in Gesù ed emblema della loro principale attività lavorativa.
Dopo un periodo di grande prosperità, l’abbazia di Mirasole nel XVI secolo cominciò a decadere. Divenuta commenda, le sue proprietà furono divise e disperse, mentre per volontà di san Carlo Borromeo il Collegio Elvetico di Milano continuò a servirsi della chiesa per il proprio clero. Finchè Napoleone Bonaparte, grato all’Ospedale maggiore per l’assistenza prestata ai feriti e ai malati dell’esercito francese durante la campagna d’Italia, non trasferì alla Ca’ Granda i beni del soppresso collegio, dando così inizio a una nuova fase della storia di Mirasole. Che oggi appunto ricomincia, là dove si era fermata.