Il Museo diocesano Carlo Maria Martini ha inaugurato una nuova, importante mostra che ha per tema la rappresentazione della Passione secondo gli artisti italiani del Novecento, con quaranta opere che provengono dai Musei vaticani. Una rassegna straordinaria che continua la preziosa collaborazione con la pontificia Collezione d’arte moderna e contemporanea, iniziata nel 2018 con l’esposizione dell’emozionante Via Crucis di Gaetano Previati, e poi proseguita con una splendida selezione di lavori dei maestri attivi in Francia nel ventesimo secolo (tra Rouault, Matisse e Chagall). Allestimenti, quelli passati come quello odierno, curati con la consueta passione e competenza da Micol Forti, responsabile della collezione vaticana, e da Nadia Righi, direttrice del Museo diocesano di Milano, con il contributo di una schiera di giovani ed entusiaste studiose.
Anche questa nuova mostra è sorprendente. Non solo e non tanto per la qualità delle opere proposte e per la notorietà degli artisti presentati (da Manzù a Guttuso, da Casorati a Carrà). Ma soprattutto perché invita i visitatori a scoprire strade poco note, con prospettive e scorci spesso «insoliti», in un itinerario nell’arte sacra italiana del secolo scorso che, tappa dopo tappa, si fa via via sempre più interessante e coinvolgente. Un passato recente, e che tuttavia, per diverse ragioni, in molti casi sembra essere già dimenticato o rimosso.
E invece al Museo diocesano arrivano opere di dirompente bellezza. Come la tela di Giuseppe Montanari, «Il bacio di Giuda», scelta giustamente come «icona» della mostra milanese. Montanari, marchigiano d’origine, ma ambrosiano d’adozione (avendo vissuto fra Milano e Varese), dipinse quest’opera nel 1918, mentre era convalescente per le ferite di guerra. A differenza delle molte rappresentazioni di questo episodio evangelico, solitamente affollate, il pittore raffigura soltanto i due protagonisti, Gesù e il discepolo infedele, isolandoli in un paesaggio notturno, immobile e silente. L’Iscariota, una sorta di colosso ingobbito, si avvicina per dare il segnale convenuto (il bacio traditore), mettendosi sulle punte dei piedi, imbarazzato, confuso, forse già disperato, con quelle braccia possenti che non sa dove mettere, visto che ormai il suo maestro non lo può (non lo vuole) più abbracciare…
C’è tutto il dramma del primo conflitto mondiale, in un’immagine come questa. Apparentemente fredda, sprigiona invece in ogni pennellata la follia della guerra, l’annientamento di una generazione, il tradimento perpetrato nei confronti di popoli interi, venduti per trenta denari di retorica nazionalistica, sacrificati sull’altare della patria diventato patibolo.
E così farà ancora Ottone Rosai, nel pieno della successiva guerra mondiale, nel 1943, mostrando sulla croce un uomo in giacca e pantaloni, che altri non è che l’artista stesso: «povero Cristo», ma anche uno dei due ladroni, chissà, inchiodato dalla violenza e dalla barbarie sullo sfondo di una moderna Gerusalemme che brucia, a ricordare i bombardamenti aerei che devastavano le città d’Italia e d’Europa.
Questo dipinto apparteneva ad Amintore Fanfani, che lo donò nel 1973 ai Musei vaticani. Come un’altra mirabile opera oggi in mostra nei Chiostri di Sant’Eustorgio, la «Deposizione» di Felice Carena, fu offerta a papa Paolo VI dopo il suo celebre discorso agli artisti del 1964, costituendo quindi uno dei primi tasselli della Collezione d’arte religiosa moderna. Una tela dolente, bellissima, che Montini amava contemplare, davanti alla quale sostava a pregare. Come ancora noi oggi proveremo a fare, in questi giorni di nuova tragedia.
Informazioni, orari e costi su www.chiostrisanteustorgio.it , tel. 02.89420019