A ben pensarci, è davvero notevole che una città come Milano, laboriosa e a volte perfino frenetica, abbia come simbolo proprio la “Madonnina”, quasi a mitigarne, con la sua tenerezza di madre, talune asperità “caratteriali” (da un prosaico pragmatismo a una certa arroganza da primi della classe). E del resto sappiamo bene quanto la giovane di Nazareth, nella sua docilità, sia stata “tosta”….
Anche quel diminutivo affettuoso – “Madonnina”, appunto – sembra un po’ voler contrastare quella propensione a strafare del capoluogo lombardo («Milàn l’è semper un gran Milàn», «Milàn e poeu pù», come dicevano i nostri vecchi, un po’ credendoci, un po’ scherzandoci anche loro…). In realtà la nostra dorata, e adorata, “Madonnina” appare piccola solo a noi che la vediamo da quaggiù, quasi con la medesima meraviglia che ci prende ogni volta che alziamo lo sguardo alle stelle, astri imponenti che si rivelano nell’umiltà e nella bellezza di un bagliore nella notte.
La grande e celebre statua, infatti, ideata dallo scultore Giuseppe Perego ed eseguita in lastre di rame dall’orafo Giuseppe Bini (infine dorata a mordente dal pittore Anton Raphael Mengs, uno dei padri del neoclassicismo), è alta oltre quattro metri e pesa poco meno di una tonnellata. Fu issata sulla guglia maggiore del Duomo il 30 dicembre 1774 e da allora, sfidando fulmini e intemperie, guerre e bombardamenti, non ha mai cessato di vegliare su Milano e sui milanesi a più di cento metri d’altezza.
Per lungo tempo, del resto, questo primato non fu mai messo in discussione. Il “problema” si pose per la prima volta nel 1933, quando Giò Ponti, già riconosciuto come uno dei più talentuosi architetti e designer, progettò la torre panoramica nei pressi della Triennale (allora detta “Littoria”, oggi chiamata “Branca”, dall’azienda che ne ha finanziato il restauro). L’ardita struttura, infatti, fu fermata a 108 metri: appena cinquanta centimetri sotto la fatidica “soglia” della “Madonnina”, in ossequio a una precisa ordinanza comunale, che voleva preservarne la valenza simbolica, e secondo la volontà, si dice, dello stesso Mussolini («Non è bene superare il divino con l’umano», avrebbe confidato il duce d’Italia, che ben conosceva Milano e i suoi umori…).
Una sorta di “timore reverenziale” che, forse, frenò a metà degli anni Cinquanta anche i progettisti della Torre Velasca, che infatti è alta due metri in meno rispetto alla cattedrale. I tempi però erano ormai maturi perché il record della “Madonnina” venisse infranto. E infatti, da lì a poco, nel 1960, lo stesso Giò Ponti si prese la sua rivincita con la realizzazione del grattacielo Pirelli, che con i suoi 127 metri di cemento, acciaio e vetro era allora il più alto d’Italia, ma anche d’Europa: un edificio straordinario che, affacciato sul piazzale della Stazione Centrale, appariva quale nuovo simbolo di una nuova Milano, una metropoli che voleva presentarsi moderna e davvero internazionale.
Emanuele Dubini, storico amministratore delegato del gruppo della Bicocca, in un’intervista di alcuni anni fa ricordava «certe terribili discussioni con la Curia perché non dovevamo superare la Madonnina…». Fu allora che, probabilmente su suggerimento dello stesso arcivescovo Giovanni Battista Montini, sul tetto del grattacielo venne posta una copia fedele, ma in scala ridotta (alta, cioè, soltanto 85 centimetri) dell’amata statua dell’Assunta.
Il tutto avvenne senza clamori né cerimonie ufficiali, tanto che quando il “Pirellone” fu ceduto alla Regione Lombardia, nel 1978, la presenza di questa “Madonnina” in miniatura era nota soltanto a una cerchia ristretta di persone (anche se non significa che la cosa fosse tenuta “nascosta”: Dino Buzzati, ad esempio, in un suo articolo per il decennale dell’erezione del grattacielo ne accennò tranquillamente, come cosa risaputa…).
Milano è una “città che sale”, come aveva già osservato Umberto Boccioni agli inizi del secolo scorso. E anche il primato, pur longevo, del Pirelli è stato infine infranto nel 2010 con la costruzione del nuovo Palazzo Lombardia, che ha raggiunto i 161 metri d’altezza. Memori di quella che ormai era diventata una tradizione, anche in cima al nuovo grattacielo è stata posizionata una copia della “Madonnina”. E, quando, soltanto cinque anni più tardi, nello skyline del capoluogo lombardo è apparso un nuovo colosso, la Torre Allianz di 209 metri, anche qui è stata collocata una versione ridotta del dorato simulacro.
Quattro dunque, sono le “Madonnine” che ad oggi riversano il loro sorriso su Milano: l’originale dal Duomo, le piccole repliche dagli alti palazzi. Quasi una rete, un abbraccio che è per noi tutti conforto e rifugio. «O mia bela Madunina che te dominet Milan, conforta coloro che più soffrono nei nostri ospedali e nelle nostre case; sostieni la fatica dei tuoi figli impegnati nella cura dei malati; infondi sapienza nelle decisioni», come ha invocato ancora il nostro Arcivescovo ai piedi della Vergine, nell’infuriare della pandemia.