«E la luce fu». La luce che divide il giorno dalla notte. La luce che sorge a illuminare le genti. La luce che è simbolo immateriale, eppure vero, reale, concreto della presenza del divino sulla terra. Come dice Gesù di se stesso: «Io sono la luce del mondo».
Non c’è forse tema più spirituale di quello della luce, per penetrare al cuore del sacro. E per questo proprio la luce è stata la protagonista dell’ultima edizione del Premio Artivisive San Fedele, che come sempre ha selezionato un gruppo di artisti tra i 20 e i 35 anni, le cui opere sono oggi esposte in una mostra presso la galleria di via Hoepli a Milano (fino a sabato 28 ottobre; info su www.centrosanfedele.net ).
Un’iniziativa benemerita e unica, quella dei gesuiti milanesi. Che da un paio di lustri, ormai, si rivolge ai giovani creativi di tutto il mondo: quest’anno, tra gli oltre sessanta partecipanti, in dodici sono stati invitati a realizzare delle opere legate al tema assegnato, dopo aver partecipato a incontri e seminari di teologia, filosofia, sociologia tenuti da docenti universitari e biblisti. Insieme a docenti e critici d’arte che li hanno accompagnati dalla fase progettuale a quella finale, interrogandosi su quale “luce”, oggi, è in grado di illuminare il travaglio della condizione umana, le strade incerte dell’uomo contemporaneo.
Ed essendo un “Premio”, anche in questa tornata ci sono dei vincitori. Primo classificato è Samuele Albani, classe 1984, che ha presentato l’elaborazione di un video girato ad appena nove anni, dimenticato per un quarto di secolo nell’archivio di casa e infine casualmente ritrovato. Il filmato, infatti, della durata di pochi secondi, mostra la madre mentre s’avvicina a un ruscello di montagna per dissetarsi: immagini di disarmante semplicità e naturalezza, che “manipolate” dall’artista diventano oggi la sequenza di una catarsi, la discesa verso quella che appare una cascata luminosa. Così che il bagnarsi della donna si rivela essere una rinascita, dove il corpo materiale si dissolve in un battesimo di luce.
Il secondo posto è stato assegnato ad un altro filmato, quello di Irene Fenara, nata a Bologna nel 1990. Lo schermo della sua installazione, tra lo sconcerto iniziale dello spettatore, mostra soltanto uno sfondo scuro interrotto a tratti da linee e punti. Sembra una proiezione del nulla, un affacciarsi sul vuoto: e in effetti è proprio così, se si considera che la ripresa registra la scansione a vuoto di uno scanner in cui non è stato inserito alcun documento… Eppure qualcosa viene comunque “immortalato”, in quel video: ed è lo scorrere del tempo, dove, paradossalmente, sono le impurità, i difetti a brillare come stelle luminose in una notte buia. Una visione al negativo, in cui le imperfezioni diventano stesse punti di riferimento, stelle polari di un orizzonte inesplorato. Dove, evangelicamente, «gli ultimi saranno i primi».
Angelica Consoli, 31 anni, si è aggiudicata la terza posizione, con un lavoro che evoca antiche tradizioni e memorie famigliari. Con la paraffina, infatti, ha plasmato una “monumentale” corona del rosario, dove, tra i grani, a scandire i misteri, emergono i diafani ritratti delle persone care all’artista: volti, sguardi, profili che si riconoscono come tali solo avvicinandosi a breve distanza e alla giusta luce. Quella luce che, ancora una volta, è simbolo di quella fede senza la quale lo stesso rosario non sarebbe altro che una decorativa “collanina”, un insieme di formule ripetute, che soltanto un’autentica, partecipata devozione trasformano in filiale invocazione alla Madre di Dio…
Fuochi d’artificio si disegnano sulle bianche pareti della Galleria San Fedele. Sono quelli proiettati nell’installazione realizzata da Stefan Milosavljevic, venticinquenne serbo, qui vincitore dello speciale “Premio Paolo Rigamonti”. Scie luminose impresse nella sua memoria di bambino, quando la Nato, nella primavera del 1999, intervenne nel conflitto jugoslavo bombardando l’esercito di Milosevic per costringerlo ad accettare il piano sul Kosovo: traccianti, razzi e missili che squarciavano la notte, e che sua madre, con premurosa bugia, gli diceva essere «just Fireworks», appunto. Luci di morte, trasformati in luci di gioia dall’amore materno…
Una menzione speciale, infine, è stata riconosciuta al lavoro di Luca Pianella, 32 anni. Il cui punto di partenza è la forma di una foglia rinsecchita, staccata dall’albero e in balia del vento, senza più un futuro. Questo elemento, tuttavia, l’artista l’ha inserito in contesti diversi: in una superficie specchiante, ricavata stendendo uno spesso strato di grafite, con certosina pazienza; ma anche in uno sfondo nero e in un altro bianco. Come a evocare tre stadi differenti, dalla vita alla morte, all’eternità: dove ogni cosa sarà infine illuminata e redenta.