Lei russa, lui ucraino. Uniti dalla musica, e per la vita. Un sodalizio artistico e sentimentale sbocciato e radicatosi in Italia, che resiste alla cronaca. E anzi si fa controcanto – meglio, contrappunto – rispetto alle notizie terribili dell’oggi. Ksenia Milas e Oleksandr Semchuk sono marito e moglie. Violinisti di livello internazionale, da quando i loro Paesi si combattono ricevono inviti da ogni angolo d’Italia, per concerti i cui proventi vanno a favore delle vittime del conflitto. Nei prossimi giorni suoneranno due volte a Milano.
Oleksandr, «La Musica unisce», recita lo slogan dei vostri concerti. Ha unito anche le vostre vite e le vostre carriere. Come è nato il vostro sodalizio?
Il giorno in cui lei entrò nel Masterclass di cui ero insegnante, tenni la peggior lezione della mia vita. Pensai: «O la sposo io, o la sposa un altro, ma non lascerò che la seconda opzione si verifichi». Mesi per convincerla a prendere un caffè, il primo appuntamento andò peggio della prima lezione. Poi, non so come, mi degnò della sua attenzione. Ci siamo sposati nel luglio 2009: da allora mi considero l’uomo più fortunato del pianeta. Ogni arte, la vera arte, è prima di tutto arte dell’ascolto, e l’ascolto può far incontrare anche ciò che è diverso, che non si condivide. Ma rende più ricco e vario il proprio mondo interiore. La vita insieme è come un’orchestra: ognuno ha il suo spartito, la volontà di dialogare ascoltandosi può produrre capolavori.
La musica unisce, la cronaca e la storia possono dividere. Riuscite, in questa stagione tragica, a conservare la fiducia nella possibilità di un buon vicinato, se non di una fratellanza, tra i popoli russo e ucraino?
Questo momento buio lascerà ferite enormi. Non potrebbe essere altrimenti, quando tanti innocenti subiscono violenze atroci, e un Paese la distruzione totale. Anche solo pensare a una riconciliazione, appare ora impossibile. Quello che oggi possiamo fare, è moltiplicare l’aiuto al popolo ucraino, per confermarlo nella certezza che non è solo e nella speranza in un domani migliore. Dobbiamo mostrare che il mondo si mobilita per garantire sicurezza, protezione, conforto. Esempio che incoraggerà tutti i popoli che soffrono violenza.
Per giustificare conflitti politici e militari, talvolta si ricorre a elementi culturali. Esistono una identità culturale russa e una ucraina tra loro opposte?
Difficilmente la cultura può essere divisa dalla politica, specchio della mentalità di un popolo. E ogni popolo con storia e radici antiche ha forti elementi culturali di distinzione da altri popoli, anche vicini. L’importante è che queste differenze, l’arte e la cultura in generale, non divengano oggetto e veicolo di propaganda, a legittimazione della violenza. Bisogna sempre distinguere la cultura dai poteri. Io, ucraino, continuo a suonare e apprezzare Tchaikovsky, compositore russo con radici ucraine. Anche in tempi tragici, la censura culturale non aiuta.
Di fronte a crudeltà inaudite, l’arte non rischia di apparire una consolazione retorica, in fondo un po’ falsa?
Io e Ksenia, artisti uniti dagli stessi valori umani ed etici, facciamo ciò che possiamo. Sapendo che ogni concerto, o evento artistico, può avere funzioni plurime: dare piacere estetico, ma anche far parlare di un problema oltre il rischio della neutralità, che è silenzioso permesso al massacro di innocenti, e favorire raccolte di aiuti. La situazione straordinaria di oggi richiede azioni straordinarie: non è retorica, il pubblico capisce e risponde.
Quale brano musicale consigliereste di ascoltare, ai leader di Ucraina e Russia, per trovare il sentiero di una pace giusta?
Fatico a rispondere a questa domanda. So quale brano proponiamo, tra i bis di chiusura dei nostri concerti. È la Melodia di Myroslav Skoryk, uno dei più importanti compositori ucraini del secolo scorso. Fu scritta per un film ambientato in montagna: invita a raggiungere la vetta, da dove è possibile superare panorami parziali, per godere di una visione più alta, più chiara, più nobile, più universale e pacificata della realtà che ci circonda.