È stata una bella sorpresa. Commovente, perfino. Un antico dipinto che era stato trafugato alla Pinacoteca Ambrosiana negli anni Sessanta, oltre mezzo secolo fa, recentemente è stato rintracciato dai Carabinieri del comando per la tutela del patrimonio culturale e quindi restituito al museo milanese. Si tratta di una deliziosa tavola raffigurante la Madonna che allatta il Bambino Gesù, databile ai primissimi anni del Cinquecento e attribuita a uno dei discepoli più vicini a Leonardo da Vinci: Marco d’Oggiono.
La restituzione, ormai insperata, appare ancora più significativa perché è avvenuta alla vigilia del quinto centenario della morte del pittore brianzolo. Ecco allora l’idea di presentare il capolavoro recuperato proprio nella terra d’origine di Marco, a Oggiono: in una mostra che si può visitare fino al prossimo 7 novembre presso il Palazzo del Comune (a cura di Giovanni Morale, promossa dalla Fondazione Costruiamo il Futuro insieme a Intesa Sanpaolo e Gallerie d’Italia), che apre di fatto le celebrazioni per l’importante anniversario.
Figlio di un orafo, Marco dovette apprendere l’arte paterna, specializzandosi anche nella miniatura e nella pittura, tanto che neppure ventenne era già titolare di una sua bottega. Fu tra i primi ad avere Leonardo come maestro a Milano: la sua presenza al seguito del genio toscano è attestata già nel 1490, quando avvenne il noto episodio del furto di uno stilo d’argento da parte di quel monello detto Salaì (cioè Gian Giacomo Caprotti, che allora aveva soltanto dieci anni). A quel tempo l’Oggiono entrò in società con un altro discepolo vinciano della prima ora, il Boltraffio: insieme, i due, realizzarono la prestigiosa pala della Risurrezione per la chiesa milanese di San Giovanni sul Muro, oggi nei musei statali di Berlino.
Assai richiesto a Milano e altrove (a Savona lavorò per il cardinal Della Rovere, subito prima della sua elezione a papa con il nome di Giulio II), Marco d’Oggiono si impose come diffusore dei modelli leonardeschi, pur senza rinunciare a un tocco di originalità. Le Madonne col Bambino sono certamente tra le sue cose più riuscite: immagini per lo più semplici, anche se destinate a una committenza d’élite, soffuse di intima tenerezza.
La mostra di Oggiono, con il suo catalogo pubblicato da Cattaneo Editore, diventa così un’opportunità per conoscere o riscoprire la pittura dell’artista rinascimentale (del quale la locale chiesa parrocchiale conserva anche un monumentale polittico della maturità). Ma è anche l’occasione per immergersi nelle rappresentazioni delle cosiddette «Madonne del latte», icone di una fede popolare e vissuta, della maternità terrena e divina ad un tempo.
Una madre che allatta al seno la propria creatura è l’immagine stessa della tenerezza. In ogni epoca, in ogni civiltà, ad ogni latitudine. A maggior ragione nel mondo cristiano, che basa il suo credo su una verità straordinaria e sconvolgente, quella di un Dio che si è fatto uomo per amore.
Innumerevoli sono le raffigurazioni di Maria che nutre al suo petto il Bambino Gesù: nella stessa Brianza (come una pregevole di Natale Perego ha evidenziato, già nel 2005), ma anche nell’intera Diocesi di Milano, come nel resto d’Italia e d’Europa. Immagini di struggente, popolana bellezza, capaci di tradurre in un linguaggio immediato e universale l’impenetrabilità del dogma. Testimonianze figurate di un miracolo quotidiano e condiviso, quello della nascita e della crescita, emozionante e stupendo, eppur non esente da rischi e pericoli.
Immagini, tuttavia, che oggi non sempre sono facilmente individuabili. E non soltanto per gli inevitabili guasti del tempo o per l’incuria dell’uomo. Molte di queste Madonne del latte, infatti, sono state «ritoccate» dall’epoca della Controriforma in poi, quando cioè non parve più conveniente che Maria mostrasse il seno, fosse anche per allattare il piccolo Gesù. Piuttosto che sulla maternità della Vergine, a un certo punto, infatti, si preferì porre l’accento sulla sua divina regalità e sulle sue prerogative celesti. E quelle antiche Madonne, in diversi casi, finirono per l’essere considerate come inopportune e imbarazzanti. Da incoronare, magari, con nuovi diademi preziosi, ma anche da «nascondere» sotto prudenti strati di colore…
Un tema, dunque, quanto mai affascinante, sia che lo si consideri sotto la prospettiva religiosa e devozionale, o quella artistica e iconografica, o ancora quella antropologica ed etnografica. Colpisce, in particolare, la «trasversalità» di questa tipologia, rappresentata sia a livello popolare, sia a livello colto. Se infatti la maggior parte di queste Madonne che offrono il seno al Divino infante appaiono realizzate da anonimi artigiani del pennello, dotati spesso più di buona volontà che di autentico talento artistico, non mancano i dipinti firmati dai maestri, anche i più illustri…
È il caso, ad esempio, proprio della meravigliosa «Madonna Litta», uno dei capolavori assoluti della pittura lombarda dell’ultimo scorcio del XV secolo, oggi conservata all’Ermitage di San Pietroburgo, che una lunga tradizione vuole attribuita alla mano di Leonardo (e così ancora oggi è presentata nel museo russo). La maggior parte degli studiosi, tuttavia, oggi propende per assegnare al maestro «solo» l’ideazione del modello, che dovette poi essere affidato ai suoi migliori collaboratori dell’epoca: Boltraffio, certamente, ma anche lo stesso Marco d’Oggiono.