Anche il visitatore più distratto entrando nel Duomo di Milano non può non rimanere incuriosito da quella lampada rossa che brilla lassù, a parecchi metri d’altezza, tra le volte del presbiterio, nel cuore di un dorato rosone. «Che sarà mai? », si chiedono molti. Ebbene, quel lume sta a vegliare una sorta di piccolo tabernacolo che custodisce uno dei più grandi tesori di fede della cattedrale ambrosiana: il Santo Chiodo, una delle più venerate reliquie della Passione di Gesù, uno di quei ferri che secondo le Sacre Scritture trafissero le carni del Cristo unendolo alla croce.
Da secoli, così, per volontà di san Carlo Borromeo, devotissimo al mistero della Passione, una volta all’anno il Santo Chiodo viene prelevato dal suo alto altare per essere esposto per tre giorni alla devozione popolare all’interno del Duomo . Una tradizione tra le più care ai milanesi, che quest’anno, svolgendosi in prossimità della festa solenne dell’Esaltazione della Santa Croce, si celebrerà tra sabato 10 e lunedì 12 settembre.
Molte sono comunque le domande che ci si può porre attorno a questa importante reliquia. Com’è arrivato, infatti, il Santo Chiodo a Milano? E quando, soprattutto? E ancora: si tratta veramente di un reperto originale? Chiariamo subito che purtroppo non abbiamo risposte precise a tutto questo.
Il ricordo di sant’Ambrogio
Di certo il primo accenno al Santo Chiodo che noi conosciamo è contenuto in un discorso di sant’Ambrogio, nell’orazione funebre tenuta in memoria dell’amico e imperatore Teodosio, esattamente 1610 anni fa, il 25 febbraio 395. In quell’occasione il vescovo spiegò come la madre di Costantino,sant’Elena, durante un suo viaggio in Terrasanta rinvenne per ispirazione divina non solo la croce, ma anche i chiodi che erano serviti alla crocefissione. Con due di essi volle forgiare dei simboli assai particolari, da donare al figlio imperatore affinchè governasse con giustizia e con l’aiuto di Dio. Uno dei chiodi fu dunque modellato come un «freno» (cioè un morso di cavallo), l’altro a mo’ di diadema (ovvero una sorta di corona). Entrambi questi segni distintivi furono poi tramandati da Costantino ai suoi sucessori, fino appunto a Teodosio.
E’ da notare che questo racconto del rinvenimento dei Santi Chiodi è riportato in forma pressochè identica anche da altri scrittori, storici e uomini di Chiesa dell’epoca, le cui osservazioni fanno comunque pensare che con un solo Santo Chiodo non sia stato fatto, ad esempio, un solo morso di cavallo, ma più d’uno , «tutti ugualmente valorizzati col frazionare in ciascuno una parte del prezioso ferro», come scrive Fausto Ruggeri, che alla reliquia ha dedicato un approfondito studio pubblicato alcuni anni fa dalla casa editrice Ned. Egli aggiunge inoltre che «la consuetudine di “moltiplicare” le reliquie con l’unione di una piccola parte autentica ad un facsimile della reliquia vera, oppure anche semplicemente con il contatto, è assai antica nella Chiesa».
Tornando ad Ambrogio e a Milano, la tradizione vorrebbe che il Santo Chiodo qui custodito sarebbe stato dato al vescovo milanese dallo stesso Teodosio , e in esso andrebbe riconosciuto proprio quel sacro ferro trasformato in freno. Ma va anche detto che nessuna fonte storica nè alcun documento oggi a nostra conoscenza può confermare tutto ciò. Per questo vari studiosi hanno formulato altre ipotesi.
Altre ipotesi
Lo storico Sassi, ad esempio, pensa che il Santo Chiodo sia giunto nel capoluogo lombardo dall’impero di Bisanzio attorno all’VIII secolo, salvato da qualche viaggiatore durante la furiosa lotta iconoclasta. Altri ritengono invece che la reliquia sia stata portata a Milano da quello stesso vescovo milanese che aveva già fatto sistemare nella basilica di sant’Eustorgio i corpi dei Magi. Il Fumagalli, infine, e con lui altri ricercatori, ipotizza che il sacro ferro sia stato donato alla Chiesa milanese da alcuni crociati di ritorno dalla Terrasanta . Nessuna di queste ipotesi, comunque, pare poter prevalere sulle altre , e soprattutto nessuna sembra in grado di «sminuire quanto affermato dalla tradizione milanese in merito al Santo Chiodo».
Di certo, invece, si sa che la reliquia si trovava nell’antica cattedrale milaneseprima del 1369, anno in cui una precisa testimonianza ricorda come da tempo immemore («ab antiquo») il Santo Chiodo fosse posto in Santa Tecla, in un reliquiario a forma di croce, posto su una tribuna al di sopra dell’altar maggiore.
Nella nuova cattedrale
Con l’ampliamento del cantiere del Duomo e l’inevitabile distruzione di Santa Tecla, tutte le suppellettili e gli oggetti sacri che si trovavano nell’antica basilica furono trasferiti e degnamente esposti nella nuova cattedrale. Per quanto riguarda il Santo Chiodo, il suo trasporto dall’una all’altra chiesa avvenne in forma solenne il 20 marzo 1461 , accompagnato da una imponente processione popolare. Lo strumento della Passione di Cristo venne dunque sistemato là dove ancor oggi si trova, sulla sommità della volta absidale.
Una collocazione piuttosto singolare, che alcuni hanno voluto giustificare con la paura che ladri o esaltati potessero trafugare il Santo Chiodo. In realtà, come osserva giustamente ancora il Ruggeri, sembra molto più probabile che si sia voluto dare alla reliquia un posto eminente, «conformemente alla tradizione ambrosiana di collocare il crocifisso sul fastigio dell’arco trionfale della Chiesa».
Tutto quanto abbiamo detto, in realtà, non risolve affatto il problema dell’autenticità del Santo Chiodo custodito nel Duomo di Milano. Qualcuno, tra l’altro, ha osservato con ironia che di questi chiodi ce ne sono fin troppi nel mondo… A questo si potrebbe subito ribattere che non è detto che questi ferri debbano essere tutti e solamente quelli che hanno trafitto le mani e i piedi di Cristo, ma potrebbero essere benissimo anche quelli che sono serviti a tenere insieme la croce, i quali anch’essi sono stati, materialmente e metaforicamente, bagnati dal sangue di Cristo.
Ma del resto non è neppure questo il punto. Perchè sappiamo che il nostro culto delle reliquie è comunque un culto «mediato», in cui la venerazione non va direttamente alle reliquie esposte, ma esclusivamente a ciò che essa rappresenta e ricorda.