Le mani, innanzitutto. Mani giunte nella preghiera, come quelle di Maria, sospese sopra il bambino Gesù. Mani che svelano, come quelle di Giuseppe, che con pudore solleva il lembo del mantello per mostrarci quel Mistero davanti al quale la mente vacilla. Mani che indicano, come quelle degli angeli, per chiamare gli uomini di buona volontà a riempirsi lo sguardo della nuova luce che sorge. Mani che si stringono, come quelle dei pastori, degli umili, dei puri di cuore nella gioia del Natale.
Il Museo San Fedele dei gesuiti di Milano propone una piccola, deliziosa mostra sul tema della Natività. Quattro pezzi soltanto, ma di grande interesse e pressoché inediti per il pubblico: a dimostrazione, ancora una volta, se mai ve ne fosse bisogno, che non è la quantità, ma la qualità delle opere, e il lavoro di studio e di approfondimento che le accompagna, a fare di un evento espositivo una valida esperienza di crescita culturale. E spirituale, perfino.
“Assorta in Dio” è il titolo di questa rassegna, curata da Andrea Dall’Asta SJ e Luca Ilgrande (aperta fino al 12 gennaio 2020, visitabile presso la chiesa di San Fedele a Milano da mercoledì a domenica dalle 14 alle 18 e sabato anche dalle 10: info, tel. 02.863521), che concentra l’attenzione sul rapporto tra la Madre e il Figlio, invitando il visitatore a contemplare il Verbo che si è fatto carne attraverso lo sguardo stesso della Vergine, lei che per prima, come recita un’antica formula cristiana, «adorò colui che aveva generato».
Proprio come vediamo in un dipinto dalle dimensioni contenute, destinato probabilmente a una devozione domestica, la cui atmosfera soffusa e la dolcezza dei volti rimandano alla scuola bresciana della fine del Cinquecento, ad un’artista cioè che ben conosce la pittura del Moretto, ad esempio, e la interpreta in una forma più semplice, quasi dialettale, ma proprio per questo vivace e spontanea. Il sorriso di Maria, l’atteggiamento pensoso del padre putativo, lo scambio di sguardi tra la mamma e la sua creatura… E sullo sfondo si staglia un monte, con un risalto che pare spropositato in questa compatta composizione, ma che evidentemente vuole riprendere le meditazioni stesse dei Padri della Chiesa sul mistero dell’Incarnazione, così ben riassunte, ad esempio, nelle parole di san Giovanni Damasceno: «È sorto splendente il monte del Signore, che oltrepassa e supera ogni collina e ogni montagna, l’altezza degli angeli e degli uomini: da esso senza mano umana, si è degnata di staccarsi la pietra angolare». Quella pietra angolare che è Cristo stesso.
Simboli e segni del Natale che, passo dopo passo, vengono raffigurati e descritti in un’incisione a tutta pagina dei fratelli fiamminghi Vierix, inserita nel celebre Liber imaginum, il libro composto da Jerónimo Nadal come “traduzione” anche visiva degli esercizi spirituali del fondatore stesso della Compagnia di Gesù, Ignazio di Loyola, manuale che accompagnava in particolare i missionari inviati in estremo Oriente. L’immagine esposta nella mostra milanese è quella della rara edizione del 1593: la notte è squarciata dalla luce che si irradia dal Divino infante, minuscolo esserino che è davvero il centro dell’universo, attorno al quale si stringono tutti i personaggi della scena, così che anche il lettore è come chiamato ad avvicinarsi per contemplare la salvezza che si compie.
Nulla di quieto né di rassicurante, invece, emerge dal piccolo disegno di Mario Sironi, soltanto uno schizzo sul retro di una pagina di appunti, dove anzi si stenta a riconoscere il protagonista del movimento del Novecento. Ma questo è un frammento degli anni Cinquanta, già tardo, quasi estremo, che riflette forse la tribolazione di un artista prima attaccato dai fascisti per il suo segno troppo libero ed espressionista, e poi ostracizzato nel dopoguerra per la sua vicinanza al regime. Un groviglio di linee e pensieri, dove Maria quasi si slancia incontro all’abbraccio del Bambinello con la determinazione di difenderlo da tutto e da tutti, soprattutto dal destino di sofferenza e di morte che l’attende, come quella sua enorme mano rivela.
Ancora più sorprendente è la Madonna col Bambino di Roberto Crippa. Sorprendente perché assolutamente insolita nella produzione dell’artista monzese, amico di Lucio Fontana, animatore dello Spazialismo assurto rapidamente a una grande notorietà internazionale, asso del volo acrobatico (muore proprio in un incidente aereo nel 1972, a 51 anni), le cui opere, contese a cifre altissime nelle aste, sono caratterizzate da un esasperato astrattismo. E qui invece, in questa pittura su carta del 1963 (dedicata a padre Arcangelo Favaro, fondatore della Galleria San Fedele), solo le linee sinuose ricordano le famose spirali di Crippa. Un’immagine dove la Vergine, solenne e dolce al contempo, adora e insieme culla il frutto del suo ventre, mentre l’oro dell’eternità già dissipa le tenebre della morte.