La prima teatrale di «Salmodia della speranza» di padre David Maria Turoldo si è svolta a Sesto San Giovanni il 22 aprile 1965 in occasione delle celebrazioni unitarie per i 20 anni della Liberazione. Il legame tra Sesto e Turoldo si fondava sull’amicizia, profonda e duratura, tra lui e tanti cittadini sestesi che lo coinvolsero in molte pagine della storia di questa città. L’affetto per lui e l’impegno alla fedeltà al suo alto insegnamento hanno spinto i promotori di questo evento a riprendere in mano quel testo come una fiaccola da far risplendere ancora sulle scene per il suo valore poetico, oltre che civile e religioso.
Nasce da qui la pubblicazione de I giorni del rischio. Maledetto colui che non spera (Servitium, 120 pagine, 19 euro), impreziosito con il Dvd della rappresentazione avvenuta nel Duomo di Milano il 21 aprile 2005, con Moni Ovadia e Maddalena Crippa, con musiche originali di Gaetano Liguori, per la regia di Giulio Mandelli.
«Nell’universo poetico di David Maria Turoldo – scrive Giovanni Bianchi nell’introduzione – “i giorni del rischio” sono una categoria del politico. Dove la radice è la Resistenza e lo sviluppo attraversa lo spazio del privato e del pubblico, l’epopea civile e il dramma della Chiesa, gli esiti del Concilio. Del dovere di riproporre il rapporto tra Vangelo e politica. Non adattabili spiritualità, ma il dovere dell’ora per il cristiano: mettere a rischio i propri giorni e quindi l’esistenza intera, perderli per non essere indegno del regno di Dio» E conclude la sua riflessione: «Ancora una volta la sorpresa di un tratto inedito, perché insieme e inscindibilmente cristiano e militante. Perché David Maria Turoldo, come Dossetti, dall’epopea resistenziale esce non spezzando l’esile e controverso filo della mitezza e della ribellione per amore. Quanti avevano intuito che nei giorni del rischio fosse custodito il seme della nonviolenza?».
«Sì, in molti avevamo lottato e sperato insieme – sono parole di padre Turoldo -. Sperato in che cosa: in simili risultati? No! Ed è inutile che mi attardi a dire le ragioni di questa profonda delusione. Lo sanno tutti gli anziani, i sopravvissuti, se appena ne hanno conservato un’illuminata memoria. Lo possono sapere anche i giovani, se appena ne vogliano prendere coscienza».