«E quindi uscimmo a rivedere le stelle». Finalmente fuori dall’Inferno, abbandonate le tenebre, Dante e Virgilio abbeverano il loro sguardo assetato di bellezza alla flebile luce di un cielo stellato, che è già presagio di un nuovo cammino di speranza. Stelle che ricorrono nel verso finale di ogni cantica della Commedia, perché sono la meta a cui tende l’intero poema. Come un arrivo ideale, l’approdo ultimo dell’umana avventura. Quello stesso su cui sono stati chiamati a confrontarsi i giovani artisti del Premio Arti Visive San Fedele, giunto quest’anno alla sua nona edizione.
Un centinaio i partecipanti, tutti under 35 anni, tutti già impegnati attivamente nel mondo dell’arte, provenienti da ogni regione d’Italia e anche dall’estero. Fra questi, in 24 sono stati selezionati per lavorare un anno intero attorno ai loro progetti, assistiti da tutors (critici, galleristi, giornalisti, docenti…) e stimolati in incontri periodici presso la sede dei gesuiti di Milano.
I vincitori del Premio, infine, insieme a un’altra decina di artisti sono stati invitati a esporre i loro lavori nella mostra conclusiva attualmente in corso alla Galleria San Fedele. Un’esperienza per molti versi unica, perché, come spiega padre Andrea Dall’Asta, curatore del progetto, «in un mondo che rischia sempre più di vivere senza riferimenti dal punto di visto politico, sociale e religioso, proporre ai giovani artisti di riflettere e interrogarsi sul significato di una meta verso la quale orientare il proprio sguardo, rappresenta una vera e propria sfida».
L’approdo, dunque. Approdo come traguardo di una vita, raggiunto o da raggiungere. Ma anche porto sicuro, dove trovare riparo. O come tappa da cui ripartire, verso nuovi orizzonti. Serena Zanardi, prima classificata del Premio San Fedele 2013, parte da alcune fotografie di un vecchio album, ritratti di una donna a lei sconosciuta e “incontrata” per caso sulla bancarella di un mercatino d’antiquariato. Con abilità plastica ne modella i volti nel trascorrere degli anni (Trentatrè, come recita il titolo: 1942-1975), adattandone gli abiti e le acconciature alle mode che cambiano, ma soprattutto mostrandone, lustro dopo lustro, i segni del tempo e l’incanutirsi della chioma, pur nella fissità di un sorriso imperturbabile. Una figura reale, eppure
Memoria alla quale Isabella Mara, seconda premiata (Citazioni è il titolo del suo lavoro), vuole offrire casa e rifugio. Un approdo, appunto. In quegli stessi libri che ha sfogliato, letto, amato. E che sono il suo mondo, il paese a cui può tornare ogni volta che si sente cogliere dalla nostalgia di una frase, di un personaggio, di una trama, ma che può anche condividere con altri lettori, animati dalla stessa sensibilità e dalla stessa esperienza. Volumi pesanti e sottili, pagine intense e leggere, storie drammatiche o allegre, come la vita di ognuno, in fondo, seppur forse in proporzioni variabili e in forme sempre diverse.
Anche l’installazione di Mario Scudeletti, secondo ex equo, rimanda a un contesto di libri. Quelli scolastici, per la precisione. Con quel banco di legno e formica che chiunque abbia frequentato le classi elementari nel secolo scorso non può non ricordare. Ma dove il piano d’appoggio s’allunga a dismisura verso l’alto, in una sorta di scivolo o di rampa, a seconda dei punti di vista… E c’è un che di goliardico, in quest’idea di un banco “amplificato”, ma anche la consapevolezza di come proprio l’apprendere debba essere un atteggiamento continuo e non limitato nel tempo, come un trampolino di lancio verso la conoscenza di sé e del mondo che ci circonda. Un invito ad alzare sempre lo sguardo, verso ciò che conta davvero, verso il nostro futuro. Verso le stelle, appunto.