«Ci manda la Madonnina del Duomo». Era questa la frase, una vera e propria parola d’ordine, che annunciava l’inizio di una nuova operazione di salvataggio. La telefonata arrivava all’Istituto Palazzolo di Milano verso le 23, e le suore, a questo punto, sapevano di avere pochi minuti per prepararsi ad accogliere e a nascondere il gruppo di rifugiati: ebrei, soprattutto, ma anche tutti coloro che, perseguitati dai nazifascisti, rischiavano di essere deportati e uccisi.
Prestandosi a questa attività, così pericolosa e segreta, anche le Poverelle rischiavano la loro incolumità: e alcune di loro, infatti, furono arrestate, richiuse, tormentate. Ma il coraggio e la testimonianza cristiana di queste religiose riuscirono a salvare almeno trecento persone, tra l’autunno del 1943 e la Liberazione: forse molte di più, dato che solo la Provvidenza divina conosce i numeri e i nomi di questa straordinaria vicenda. Che merita dunque di essere conosciuta e ricordata, alla «vigilia» del Giorno della memoria.
La presenza dell’Istituto Palazzolo a Milano era stata fortemente voluta dal cardinal Schuster, che molto apprezzava il lavoro svolto dalle suore Poverelle accanto ai malati cronici e agli anziani, ma anche per la loro missione di apostolato e di vicinanza ai più poveri in quei nuovi e popolosi quartieri di periferia.
Con l’occupazione tedesca e i primi rastrellamenti di ebrei, dopo l’Armistizio e la nascita della Repubblica di Mussolini, fu proprio l’arcivescovo Ildefonso a benedire l’azione delle religiose del Palazzolo, che fin da subito si prestarono a dare rifugio ai perseguitati nelle loro case di via Gattamelata e di via Aldini. E poiché le Poverelle, giustamente, si chiedevano se quella loro condotta fosse conforme ai voti della loro consacrazione, fu il beato Schuster in persona a rassicurarle con queste parole: «Il regime non rappresenta l’autorità costituita, perciò vi autorizzo a non dire tutta la verità: potrebbe compromettere molte persone».
La superiora delle Poverelle a Milano era madre Donata Castrezzati: bresciana, classe 1885, la religiosa si era distinta anche prima della guerra per le sue qualità umane e per le sue capacità organizzative, unite al forte carisma spirituale. Fu lei, insieme alle consorelle, a predisporre con dedizione ed efficacia l’opera di salvataggio di ebrei e perseguitati politici nelle due strutture milanesi. Non esitando a creare cartelle cliniche posticce, con nomi e documenti falsi: «ospiti» che, appena possibile, venivano accompagnati in case di amici fidati nel varesotto e nel comasco, a volte anche in altri conventi e ospizi, per tentare poi la fuga in Svizzera. Operazioni assai rischiose, che vedevano spesso protagonisti alcuni sacerdoti ambrosiani (come don Giovanni Barbareschi, in prima fila) e i giovani degli scout.
Per quanto tutto fosse organizzato nel più assoluto riserbo, un’attività di questo genere, che coinvolgeva molte persone a più livelli, finì con l’attirare l’attenzione della polizia fascista e dei nazisti. La sera del 14 luglio 1944, infatti, l’istituto di via Gattamelata fu occupato dalle SS del famigerato capitano Koch: madre Donata venne subito arrestata e portata nel carcere di San Vittore, raggiunta poche ore dopo da suor Clara Filippini, responsabile della struttura di via Aldini, e dalla sua collaboratrice, suor Simplicia Vimercati.
Mentre le tre religiose venivano brutalmente interrogate, suor Luisella Pesenti, l’unica della comunità delle Poverelle di Milano ancora in libertà, si assicurava che l’ultimo gruppo di ebrei nascosto al Palazzolo riuscisse a salvarsi nonostante le perquisizioni; prodigandosi, allo stesso tempo, per tenere aggiornato l’arcivescovo Schuster, che a sua volta fece valere la sua autorità presso i tedeschi per impedire che le suore fossero deportate in un lager, come era già stato ordinato da Koch.
Il 3 agosto 1944, dopo diciotto giorni di prigionia, provate ma non demoralizzate, madre Donata, suor Clara e suor Simplicia furono scarcerate per essere avviate al domicilio coatto dell’ospedale psichiatrico di Grumello, che nelle intenzioni delle SS voleva essere una punizione umiliante e degradante. Ma prima le tre Poverelle furono accolte in arcivescovado dal cardinale Ildefonso, che aveva espressamente chiesto di poterle vedere e salutare: il beato si inginocchiò ai loro piedi, ringraziandole con le lacrime agli occhi «per quanto avevano sofferto per Cristo e per i fratelli perseguitati».
Madre Castrezzati, per il suo ammirevole impegno – prima, durante e dopo la guerra – è stata insignita della medaglia d’oro del Comune di Milano, ricevendo la «gratitudine perenne degli ebrei d’Italia» e il titolo di commendatore della Repubblica. Ma a chi le ricordava queste onorificenze, suor Donata rispondeva prontamente: «Per carità, ho fatto soltanto una piccola parte del mio dovere. Sono stata partigiana di Cristo, alla cui causa mi sono votata senza esserne degna».