È in libreria Interrogati dalla Parola di Antonietta Cargnel (In dialogo, pagine 160, euro 14). Si tratta di una serie di meditazioni su tre “questioni epocali” del nostro tempo, e cioè i cambiamenti della famiglia, il fenomeno delle migrazioni e la condizione della Chiesa, lette alla luce della prima Lettera di Pietro, secondo il metodo della Lectio divina.
Si tratta di un testo molto interessante e provocatorio, che mette in luce come esista un rapporto circolare fondamentale tra la Parola di Dio e la vita, sia intesa come esistenza personale che come vicenda umana. È quanto sottolinea il biblista Bruno Maggioni nella prefazione, di cui riportiamo alcuni passaggi chiave.
«La Prima lettera di Pietro si rivolge a dei cristiani che vivono in un ambiente pagano, estraneo, ostile. I temi sono soprattutto due. Primo: la sofferenza – precisamente la sofferenza vissuta in quanto cristiani – e come affrontarla vittoriosamente; secondo: il valore redentivo, per il mondo, della vita e della testimonianza cristiana. Il cristiano sperimenta in sé una tensione: egli non appartiene più al mondo pagano, ma è costretto a vivere proprio in mezzo ad esso. Vi è una doppia tentazione: credere di poter mantenere la propria identità cristiana con un atteggiamento di fuga e di evasione, oppure integrarsi nel mondo al punto da perdere la propria identità. In ambedue i casi la comunità non è più in grado di essere il lievito, come cristiani non si vive più la dialettica dell’incarnazione e, di conseguenza, non c’è più l’autentica missionarietà. Con molta lucidità, dunque, la Prima lettera di Pietro invita i membri della comunità a vivere “come stranieri e pellegrini”: diremmo a “rimanere nel mondo, mantenendo viva la propria originalità”. Ma non è tutto qui. Il cristiano nel mondo non vive la propria diversità semplicemente per affermarla; egli deve essere convinto che una condotta coerente (fatta di rifiuto del peccato e di un comportamento esemplare) metterà a tacere le calunnie e, ancor più, dispiegherà un’efficace opera missionaria fino a trasformare i pagani in credenti glorificatori di Dio.
In definitiva, la comunità cristiana – vivendo in un mondo ostile – sperimenta la “separazione” dal mondo che, in ultima analisi, è percepita come derivante dalla propria “elezione”. Ciò non si traduce però in un atteggiamento da “casta privilegiata”, non porta a costruire una comunità di separati. I cristiani hanno coscienza di essere in mezzo al mondo una comunità di salvezza per tutti. È questa coscienza missionaria che rende la comunità cristiana sempre aperta al mondo circostante sia esso benevolo, indifferente oppure ostile, con l’intento di conquistarlo alla luce della fede. È lo stesso atteggiamento del Cristo di fronte al rifiuto del suo popolo.
A ben vedere, la lettera è quanto mai attuale perché anche noi ci troviamo ormai in una situazione minoritaria. E spesso non sappiamo come affrontarla.
La “diversità” del cristiano non può consistere nella fuga dal mondo oppure nell’essere sempre polemici perché le cose, a loro giudizio, non vanno come dovrebbero andare. Vivere pienamente nel mondo ma mantenendosi cristiani, è un modo di amare il mondo. Sapendo che non dobbiamo costruire una società cattolica, né dobbiamo d’altra parte annacquare il cristianesimo per accordarlo al mondo d’oggi. Quindi il cristiano dev’essere nel mondo un cittadino esemplare, in modo da non essere criticato per comportamenti disonesti o dissoluti e la sua fede nel Vangelo possa apparire per quello che è».