«Artigiani di sogni, due giorni, dieci incontri, una comunità». Con questo titolo complessivo, sette editrici cattoliche con sede a Milano si sono unite in un inedito progetto sinergico per partecipare in modo più incisivo a BookCity 2023, 12ma edizione della fortunata iniziativa coronata, in questi anni, da crescente successo (vedi qui lo speciale). Una scelta significativa, che vedrà un folto numero di eventi e presentazioni nei giorni di sabato 18 e domenica 19 novembre, inaugurata con un appuntamento di eccezione, svoltosi nella Sala conferenze dell’Arcivescovado: a confrontarsi, l’Arcivescovo e il giornalista e scrittore Mario Calabresi, sui temi del recentissimo messaggio Sette Lettere per Milano, scritto da monsignor Delpini a conclusione della sua Visita pastorale alla città (leggi qui).
Moderato da Catia Caramelli di Radio24 e dopo il saluto di apertura di don Gianluca Bernardini – responsabile del Coordinamento dei Centri culturali cattolici della Diocesi, che ha ricordato la volontà comune di fare rete tra realtà editoriali cattoliche nella «speranza di aver trovato lo spazio giusto per trattare i temi che ci stanno a cuore» – l’incontro si è articolato a partire dal concetto del sogno, scelto come filo conduttore dell’edizione di BookCity 2023.
Il sogno condiviso
«Non si può sognare da soli, per partito preso o per un interesse particolare, perché una città ha bisogno di sognare insieme e questa è la sostanza della mia insistenza sull’idea che si vive di una vita ricevuta, per una chiamata, per un dono – ha subito spiegato l’Arcivescovo in riferimento al titolo della sua Proposta pastorale per l’anno in corso -. Mi pare che la condizione per sognare insieme, per un sogno comune che Milano può coltivare, si chiami speranza di un futuro possibile. Non si tratta di un sogno fantastico o favoloso, ma della responsabilità di dare un nome a questo domani in una realtà che abbiamo ereditato come figli di una storia che ha le sue luci e le sue ombre. Abbiamo qualcosa da mettere a frutto, una coscienza da purificare con la responsabilità di un futuro a cui ci sentiamo chiamati», ha proseguito monsignor Delpini.
Una visione condivisa da Calabresi per il quale tutti «abbiamo bisogno di una mano tesa, degli altri che siamo tutti noi», come osserva richiamando il tempo dei «selfies, in cui si è impegnati a fotografare ciò che ci sta alle spalle. Al contrario, il sogno ci parla di futuro, di qualcosa che ci è davanti. Abbiamo imparato a pensarci sempre soli nella riuscita dell’impresa, ma è una limitazione. Dobbiamo, invece, pensare che le cose hanno bisogno di persone e di relazioni e che, per farle bene, occorre stare insieme», sottolinea ancora il giornalista, raccontando come, dopo un decennio di direzione de La Repubblica, abbia per un anno preferito ascoltare la gente e i giovani, piuttosto che scrivere come editorialista, vivendo un’esperienza «che ha arricchito il mio modo di vedere il mondo».
La ricchezza di Milano e le sentinelle
Si prosegue con la Milano della ricchezza, a cui l’Arcivescovo ha dedicato una delle sue sette lettere, sulla quale torna: «Esiste la città che vive la ricchezza della sua storia e delle sue opere d’arte, ma esiste anche, a Milano, tanta ricchezza diversa e il pericolo è di trasformarla in un mercato, in cui il bene comune sia qualcosa da vendere e da comprare e dove i soldi servano solo per fare altri soldi e investimenti produttivi». Insomma, il patrimonio per incrementare il patrimonio, «magari attraverso l’astuzia che si approfitta delle persone per ricavare un reddito che può essere addirittura frutto di un ricatto o della vendita di droghe. La ricchezza è un concetto ambiguo: da un lato è una tentazione a strumentalizzare tutto nell’interesse di chi è ricco, ma significa anche la responsabilità di mettere a frutto i talenti che ci sono stati dati. Ci vogliono delle sentinelle che vigilino perché l’interesse utilitaristico non prenda possesso della città, come ho detto nel mio intervento al Consiglio comunale del 25 settembre scorso, parlando appunto di sentinelle. La tradizione di Milano è fatta di enorme generosità, ma ci devono essere sentinelle che sono i protagonisti stessi della vita della metropoli: i giovani, la politica, l’attività amministrativa, gli esercenti, le banche con cui mi sono confrontato in Consiglio comunale».
Convinto della necessità di mettere in gioco i giovani si dice anche Calabresi, «perché se una città li taglia fuori prima economicamente, pensiamo agli affitti, e poi dicendo che non è il loro momento, cosa costruiamo? Certo, siamo indignati di fronte a chi imbratta i monumenti, ma ci sono anche tanti ragazzi che fanno il loro dovere e, poi, ricordiamoci che cosa era Milano negli anni Settanta e Ottanta con i cortei continui, le spranghe, le violenze».
L’audacia del pensiero
Il pensiero va, stimolati dalla moderatrice, all’audacia del pensiero, protagonista anch’essa di una lettera per Milano. «Milano è città universitaria e la cultura attraente è quella di cui i giovani sono chiamati a essere costruttori. Tuttavia – avverte l’Arcivescovo -, è necessario chiedersi dove conduca questa audacia, perché il rischio è quello di un pensiero che si riduce a diventare funzionali al sistema. Il pensiero deve essere, invece, alla ricerca di un senso. L’audacia del pensare interroga credenti e non credenti ed è una delle armi più necessarie per sconfiggere la guerra, trionfo del non senso, espressione tra le più terribili della scomparsa del pensiero e della irragionevolezza. Ritengo che a Milano, tale audacia, che è praticata da tanti ricercatori di origine, età, convinzioni diverse, possa avere come oggetto proprio la pace e il bene comune e auguro che Milano sia il luogo dove cittadini giovani e anziani, da sempre qui o che arrivano da altrove, possano trovare una modalità di stare insieme».
«Credo che la città debba domandarsi cosa vuole fare», evidenzia Calabresi, perché «siamo su un crinale dove non è scritto che la città non possa affrontare i problemi prima che divengano esplosivi, basta guardare a tanti esempi di sacerdoti che si impegnano nelle periferie e con i giovani. Oggi mi pare grottesca la discussione sull’ordine pubblico: si dà tanto rilievo sui media a fatti di cronaca nera, ma spesso mi pare un modo schizofrenico di raccontare Milano, facendo percepire la sensazione di vivere in un’emergenza continua, mentre gli omicidi sono la metà di dieci anni fa. Bisogna prendere le cose con senso critico e non fermarsi alla semplice notizia».
«C’è un’evidente discrasia tra ciò che appare nella comunicazione e ciò che esiste veramente, come il tanto bene, le attività legate alle parrocchie, alle scuole, ai presidi sanitari, all’impegno delle Forze dell’ordine che ho visto in tutti i quartieri e decanati che ho visitato. Sembra che si voglia parlare solo di cronaca nera, fare informazione a senso unico – concorda Delpini -. Mi pacerebbe, invece, fare un Discorso alla città per reagire allo scoraggiamento e alla paura che serpeggiano. La fonte della speranza è il riferimento a Dio, per noi il Dio di Gesù Cristo. Una città che dimentica la sua spiritualità e la possibilità di incontrare il Signore rinuncia al futuro. Imparare e insegnare a pregare è uno dei modi più fecondi per accompagnare il cammino dell’umanità e la benedizione che invoco per tutti è una forma di preghiera che amo molto: non è un augurio, ma è assicurare all’interlocutore che Dio è alleato del bene e che è coinvolto nella storia. Quando sono salito sul Duomo durate i momenti più tremendi della pandemia (con immagini che hanno fatto il giro del mondo) è stato per dire proprio questo, che si poteva andare avanti, avere fiducia e che questa città era ancora benedetta in virtù dell’alleanza con Dio».
Infine, nel richiamo al titolo dell’ultimo libro di Calabresi, la domanda è su cosa ci aspetti “la mattina dopo”. «Credo che, dopo la pandemia, tutto sia enfatizzato, ma la mattina dopo inizia sempre quando si fa pace con gli eventi facendosene una ragione. Milano ha bisogno di fare pace, che significa fare i conti con realtà anche difficili», riflette il giornalista, prima delle conclusioni dell’Arcivescovo: «La mattina dopo di Milano è quella di tutte le mattine in cui ci si prende cura dei propri doveri, sperimentando, oltre l’ovvietà del quotidiano, la costruzione del futuro. Io credo che il mattino di Milano sia caratterizzato dalla gioia di vivere e dalla fierezza di aggiustare il mondo, per ciò che compete a ciascuno. Il mondo non va avanti perché si denuncia il male, perché si rende più complicata la vita con un ordine pubblico più ossessivo, con una burocrazia più sospettosa, ma perché c’è gioia di vivere».
Una Chiesa che cambia
Infine, è monsignor Luca Bressan, vicario episcopale per la Carità, la Cultura, la Missione e l’Azione sociale, a illustrare brevemente il senso della sinergia sviluppatasi tra i 7 editori cattolici, definita con l’avverbio “finalmente”: «Finalmente ci siamo anche noi in BookCity – anche se negli anni scorsi ciascuno ha già partecipato -, ma questa volta ci siamo come soggetto comune per aiutare a costruire una narrazione di come stiamo cambiando come Chiesa. Questo interessa noi per primi. L’operazione è fondamentale, non per narcisismo, ma perché il racconto comune genera un popolo e si tratta di partire dal confronto collettivo per scoprire chi siamo. Il nostro compito è portare a BookCity la città che cambia anche a livello religioso per cui vogliamo essere uno stimolo anche per altre fedi, perché il trascendente crea legami e Milano ha bisogno di un futuro abitabile per tutti».