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Milano

Beato Angelico, l’arte per entrare nel sacro

Al Museo del Design alla presenza dell’Arcivescovo è stata inaugurata una mostra che raccoglie manufatti, opere e oggetti liturgici che testimoniano la vitalità della Scuola giunta al secolo di attività

di Annamaria Braccini

21 Ottobre 2022
L'Arcivescovo tra gli artefici della mostra

«Un segno è un’indicazione di direzione, in questo caso, per entrare nel sacro. Noi, uomini e donne di questo tempo, siamo capaci di leggere tali segni, non solo per apprezzare l’aspetto estetico, la genialità dell’intuizione delle forme, la realizzazione di manufatti pregevoli come quelli qui in mostra? Non fermiamoci all’impressione immediata, andiamo oltre, fino a Dio, alla ragione per cui questi oggetti sono stati creati». A dirlo è l’Arcivescovo, inaugurando la rassegna «Segni sacri» (aperta fino al 19 novembre), allestita presso l’ADI Design Museum di Milano, che espone una selezione di oggetti liturgici realizzati dalla Scuola Beato Angelico, a conclusione delle celebrazioni per i 100 anni dalla sua fondazione.   

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La mostra

La rassegna – che raccoglie le creazioni più esemplificative del rapporto instaurato dalla Fondazione con artisti contemporanei quali Mimmo Paladino, Andrea Mastrovito e Giò Ponti – presenta anche i cinque calici, disegnati nel 2017 per il Museo diocesano, dai designers Michele De Lucchi, Riccardo Dalisi, Alessandro Mendini, Antonia Astori, Paolo Rizzato e ora facenti parte della collezione della Triennale di Milano. A questi si aggiungono i paramenti sacri appena realizzati dalla Beato Angelico per la diocesi africana di Monze, che testimoniano come, tuttora, la Fondazione sia luogo di incontro tra arte sacra e gusto contemporaneo.

Inoltre, la rassegna propone anche alcuni oggetti storici esemplificativi della varietà di tecniche utilizzate nei laboratori della Fondazione, che hanno dato vita a produzioni liturgiche di grande interesse nella storia della Chiesa: la tiara realizzata per papa Paolo VI, le produzioni dello scultore Marco Melzi per importanti luoghi di culto milanesi (come la chiesa di San Francesco al Fopponino e la cappella dell’Ospedale San Carlo) e i paramenti confezionati per Benedetto XVI in occasione di Family 2012.

Design e relazioni

Insomma, un ampio orizzonte di manufatti che esprime quanto dice in apertura il presidente del Museo, Luciano Galimberti: «Il design italiano si distingue perché parla di relazioni. Questa mostra ci aiuta a trovare il valore del dialogo. Qui c’è la tecnologia, l’artigianato, la scienza, la passione riuniti in un progetto unitario. Questo per noi è l’essenza del design», sottolinea.

Parole cui fa eco l’assessore della Regione, Stefano Bolognini: «La fede e l’arte hanno sempre accompagnato la storia di Milano ed essere qui, in un Museo che guarda al futuro, alla moda, alla tendenza, è significativo, anche pensando alla sinergia tra pubblico e privato». Come è accaduto per la rassegna, basti citare Regione Lombardia e Banca Intesa che con altri hanno resa possibile. «È la poliedricità milanese che ci tiene insieme. In un momento in cui le relazioni si sono allentate, luoghi e iniziative come queste vanno raccontati».

Ad accompagnare l’Arcivescovo ci sono monsignor Erminio De Scalzi e monsignor Luca Bressan, che della Fondazione Scuola Beato Angelico è presidente. È lui che parla di una «gradita sorpresa»: «Il design ci aiuta a vedere nell’ordinario – perfino una forchetta o un coltello – la bellezza e la tendenza al trascendente, indicando che c’è un oltre che dà senso alla vita. La mostra potrebbe avere come sottotitolo “Segni di pace”, perché qui capiamo meglio l’umanità che ci abita e il dialogo che ci arricchisce».

Il ricordo di monsignor Polvara

Dopo la curatrice Federica Sala – che illustra la genesi e il senso della mostra -, don Umberto Bordoni, direttore della Fondazione, ricorda il fondatore, monsignor Giuseppe Polvara, che diceva: «Chi vuole essere del suo tempo non può chiudere gli occhi alla realtà». «Polvara voleva camminare con la contemporaneità, per questo siamo al Museo del Design – spiega -. La rassegna dice la presenza della Beato Angelico nella società in cui stiamo vivendo. Ma il nostro vero fondatore, il Signore, usava un abito bellissimo, che è stato trasfigurato di bianco e di luce, spezzava il pane e sollevava un calice, segno della presenza di Dio nel mondo. Da qui la nostra premura a prenderci cura di ciò che vedete qui. Giò Ponti scriveva: “La Chiesa ha dato anche ai più poveri, architettura, musica, pittura e scultura. Non lo dimentichi”. Mi pare un germe buono per camminare insieme».  

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L’intervento dell’Arcivescovo

«Investire nella ripresa, nel rilancio della Scuola a cui tutti collaborano è un bel segno – osserva l’Arcivescovo -. Mi pare promettente ricordare il centenario come occasione per apprezzare una storia, per lasciarsi inquietare dall’azzardo di aprire la liturgia al mondo contemporaneo. È una promessa di futuro. Molti aspetti del fascino di questo evento – il dialogo con il design contemporaneo, la coralità nel realizzare un’opera, la responsabilità verso l’uomo testimoniata con un’arte che si fa interprete di un messaggio di bellezza, trascendenza e vocazione alla fraternità scritti nell’uomo e nel suo ambiente – sono già stati ricordati. Aggiungo solo una sfida. Per la sua scuola, Polvara ha fondato una comunità di consacrazione. Questo insegnamento deve farci ricordare che questi prodotti sono elementi necessari per celebrare. Oggi la celebrazione liturgica, quel modo di entrare nel mistero che non è un individualistico entrare nelle emozioni, ma un evento di popolo, pare una specie di enigma, una parola straniera. Per noi invece è la strada più diretta per realizzare il rapporto con Dio attraverso Gesù. Un segno è un’indicazione di direzione per entrare nel sacro. La Scuola Beato Angelico ha ricondotto linee e oggetti alla loro purezza ed essenzialità: la sua presenza in questo luogo è un invito a dire che bisogna andare oltre, percorrendo una strada comunitaria. Per il Museo del Design sia questa una provocazione. Noi siamo un popolo in cammino e vogliamo diventare una coralità di parole, di segni, perché vogliamo salvarci insieme».

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