Si dice “organo” e si pensa a Bach. Anche a Milano. Ma non al celeberrimo padre, Johann Sebastian, quanto al non meno talentuoso figlio, Johann Christian, detto “il Milanese”, appunto. Nel capoluogo lombardo, infatti, l’ultimo dei Bach giunse attorno al 1755, appena ventenne, con pochi soldi e molte ambizioni: cercava fama e fortuna, e all’ombra delle guglie ambrosiane trovò ben presto entrambe. A cominciare dal posto, «ben pagato e poco faticoso» (sono sue parole), di organista della cattedrale…
L’organo su cui Johann Christian Bach suonava, in realtà, era piuttosto diverso da quello attualmente in uso in Duomo. Che è uno dei più grandi e dei più importanti del mondo, il primo in Italia, il secondo in Europa: 15.800 canne (9 metri di altezza la più alta, pochi millimetri la più piccola…), 180 registri sonori, 5 tastiere. Uno strumento davvero monumentale, realizzato fra il 1937 e il 1938 ad opera di due fra le più prestigiose ditte organarie dell’epoca, la Mascioni di Cuvio e la Tamburini di Crema, e che oggi viene nuovamente valorizzato da un ciclo di concerti promossi dalla Veneranda Fabbrica e da VivilDuomo nell’ambito degli eventi organizzati per promuovere il restauro della Guglia maggiore. Concerti che prendono il via stasera, alle 19, con l’organista inglese di fama internazionale Christopher Herrick e che proseguiranno nelle prossime settimane fino all’appuntamento natalizio del 26 dicembre.
Il grandioso e moderno complesso fonico del Duomo, d’altra parte, è come l’erede di una lunga e ricca tradizione, che affonda le sue radici nelle origini stesse della cattedrale milanese. Già nel 1395, infatti, tale frate Martino de’ Stremidi venne incaricato di costruire un nuovo organo (il che fa presupporre, lapalissianamente, che ne esistesse almeno un altro più antico…). Settant’anni più tardi fu poi lo stesso duca Francesco Sforza a chiedere ai fabbriceri di dotare il Duomo di uno strumento più moderno, affidandosi alle arti di Bernardo d’Allemagna, artigiano di evidente provenienza tedesca: un organo “grosso” che, tuttavia, non convinse gli esperti collaudatori appositamente interpellati (e di cui ci sono stati tramandati perfino i nomi: fra’ Giovanni da Mercatello e Costantino da Modena), tanto che ancora nel 1508 dovette porvi mano il nipote del teutonico organaro, Leonardo.
Nel frattempo l’organo trecentesco non era stato affatto abbandonato, ma anzi ristrutturato da un Bartolomeo appartenente alla più illustre delle casate che mai ebbero a che fare con tali strumenti: gli Antegnati. Nel 1552 l’appalto per la nuova macchina musicale fu così assegnato a Gian Giacomo – un Antegnati, naturalmente – che mise a punto un organo di dimensioni eccezionali per l’epoca (e per l’Italia), dotato di ben 12 registri e 50 tasti. Proprio per questo, probabilmente, il moderno strumento ebbe diverse peripezie, sia durante la costruzione, sia a lavoro finito.
Negli ultimi mesi dell’episcopato di san Carlo Borromeo, nell’ambito di una risistemazione generale della cattedrale, fu quindi decisa la realizzazione di un nuovo organo, da porre nella cantoria meridionale, in “contrapposizione” a quello antegnatesco, che era stato collocato nella cantoria settentrionale: impresa che a Cristoforo Valvassori costò vent’anni di lavoro, ma che gli fruttò anche un compenso principesco (oltre trentamila lire dell’epoca!).
Di età borromaica, così, sono anche le casse, interamente decorate, che accoglievano questi organi cinquecenteschi e che sono giunte nella loro bellezza fino ai nostri giorni, nonostante i danni causati dai bombardamenti aerei dell’ultima guerra. Fu lo stesso san Carlo, infatti, a dettare i contenuti della loro decorazione, chiedendo al suo pittore di fiducia, Giuseppe Meda, di rappresentare sulle ante, ad esempio, la Nascita e l’Assunzione della Vergine; così come, agli inizi del Seicento, il cardinale Federico Borromeo commissionò a Camillo Procaccini i soggetti dell’Annunciazione e della Visitazione. Musica per le orecchie, armonia per gli occhi che oggi continua. Si dice “organo” e si pensa a Bach. Anche a Milano. Ma non al celeberrimo padre, Johann Sebastian, quanto al non meno talentuoso figlio, Johann Christian, detto “il Milanese”, appunto. Nel capoluogo lombardo, infatti, l’ultimo dei Bach giunse attorno al 1755, appena ventenne, con pochi soldi e molte ambizioni: cercava fama e fortuna, e all’ombra delle guglie ambrosiane trovò ben presto entrambe. A cominciare dal posto, «ben pagato e poco faticoso» (sono sue parole), di organista della cattedrale…L’organo su cui Johann Christian Bach suonava, in realtà, era piuttosto diverso da quello attualmente in uso in Duomo. Che è uno dei più grandi e dei più importanti del mondo, il primo in Italia, il secondo in Europa: 15.800 canne (9 metri di altezza la più alta, pochi millimetri la più piccola…), 180 registri sonori, 5 tastiere. Uno strumento davvero monumentale, realizzato fra il 1937 e il 1938 ad opera di due fra le più prestigiose ditte organarie dell’epoca, la Mascioni di Cuvio e la Tamburini di Crema, e che oggi viene nuovamente valorizzato da un ciclo di concerti promossi dalla Veneranda Fabbrica e da VivilDuomo nell’ambito degli eventi organizzati per promuovere il restauro della Guglia maggiore. Concerti che prendono il via stasera, alle 19, con l’organista inglese di fama internazionale Christopher Herrick e che proseguiranno nelle prossime settimane fino all’appuntamento natalizio del 26 dicembre.Il grandioso e moderno complesso fonico del Duomo, d’altra parte, è come l’erede di una lunga e ricca tradizione, che affonda le sue radici nelle origini stesse della cattedrale milanese. Già nel 1395, infatti, tale frate Martino de’ Stremidi venne incaricato di costruire un nuovo organo (il che fa presupporre, lapalissianamente, che ne esistesse almeno un altro più antico…). Settant’anni più tardi fu poi lo stesso duca Francesco Sforza a chiedere ai fabbriceri di dotare il Duomo di uno strumento più moderno, affidandosi alle arti di Bernardo d’Allemagna, artigiano di evidente provenienza tedesca: un organo “grosso” che, tuttavia, non convinse gli esperti collaudatori appositamente interpellati (e di cui ci sono stati tramandati perfino i nomi: fra’ Giovanni da Mercatello e Costantino da Modena), tanto che ancora nel 1508 dovette porvi mano il nipote del teutonico organaro, Leonardo.Nel frattempo l’organo trecentesco non era stato affatto abbandonato, ma anzi ristrutturato da un Bartolomeo appartenente alla più illustre delle casate che mai ebbero a che fare con tali strumenti: gli Antegnati. Nel 1552 l’appalto per la nuova macchina musicale fu così assegnato a Gian Giacomo – un Antegnati, naturalmente – che mise a punto un organo di dimensioni eccezionali per l’epoca (e per l’Italia), dotato di ben 12 registri e 50 tasti. Proprio per questo, probabilmente, il moderno strumento ebbe diverse peripezie, sia durante la costruzione, sia a lavoro finito.Negli ultimi mesi dell’episcopato di san Carlo Borromeo, nell’ambito di una risistemazione generale della cattedrale, fu quindi decisa la realizzazione di un nuovo organo, da porre nella cantoria meridionale, in “contrapposizione” a quello antegnatesco, che era stato collocato nella cantoria settentrionale: impresa che a Cristoforo Valvassori costò vent’anni di lavoro, ma che gli fruttò anche un compenso principesco (oltre trentamila lire dell’epoca!).Di età borromaica, così, sono anche le casse, interamente decorate, che accoglievano questi organi cinquecenteschi e che sono giunte nella loro bellezza fino ai nostri giorni, nonostante i danni causati dai bombardamenti aerei dell’ultima guerra. Fu lo stesso san Carlo, infatti, a dettare i contenuti della loro decorazione, chiedendo al suo pittore di fiducia, Giuseppe Meda, di rappresentare sulle ante, ad esempio, la Nascita e l’Assunzione della Vergine; così come, agli inizi del Seicento, il cardinale Federico Borromeo commissionò a Camillo Procaccini i soggetti dell’Annunciazione e della Visitazione. Musica per le orecchie, armonia per gli occhi che oggi continua. I prossimi concerti Il prossimo appuntamento della rassegna musicale in Duomo prevede, giovedì 14 ottobre, alle ore 19, un Concerto per organo e orchestra (con l’organista del Duomo Emanuele Carlo Vianelli e l’Orchestra dei Musici della Veneranda Fabbrica). Giovedì 11 novembre, invece, sempre alle ore 19, si esibiranno l’organista Alessandro La Ciacera e il clarinettista Lorenzo Paini. Il 26 dicembre, infine, è in programma il Concerto di Natale. L’ingresso è libero. Al termine dei concerti è possibile partecipare a delle visite guidate all’organo del Duomo (partecipazione 5 euro, prenotazione obbligatoria ai numeri 334.6407079 – 339.6326211). Info, www.vivilduomo.it –