L’esposizione, curata da Paolo Biscottini, presenta 21 opere dell’artista faentino su temi biblici e su particolari aspetti del paesaggio urbano milanese, che evocano le grandi tensioni dello spirito umano e traggono ispirazione dalle parole del libro biblico del Qohèlet, Ciò che è stato è ciò che sarà, ciò che è stato fatto è ciò che si farà. Niente di nuovo sotto il sole.
In particolare, il racconto di Emmaus è stato interpretato privilegiando l’universale sentimento umano dell’attesa e dello stupore, ovvero l’ansia di chi, dopo il lungo viaggio dell’esistenza, avverte il mistero che improvvisamente si rivela. Il mito della Torre di Babele si proietta nella condizione esistenziale e trova, anche all’interno del tessuto metropolitano, segni inconfondibili della profonda contraddizione tra l’orgogliosa pretesa di scalare il cielo e la generosa volontà di conquista propria dell’uomo costruttore.
Proprio i riferimenti al paesaggio urbano riconducono lo splendore del mito alla quotidiana cronaca dell’esistenza umana. Come ha scritto Elena Pontiggia, “Il suo orizzonte di indagine è sempre stato la città, come abitazione dell’uomo. Anche quando rappresenta la natura cerca le rovine, le memorie, il presentimento della figura umana. La città, del resto, è anche il luogo dell’architettura. E per Timoncini la costruzione è qualcosa di più di un tema: è un atteggiamento, un modo di essere, una metafora dell’arte e della vita stessa. Per lui, comunque, la visione si compone di due parti: il visibile propriamente detto e l’invisibile. Pur essendo sempre stato un realista, non ha mai avuto della realtà un concetto angusto, circoscritto. Ha sempre percepito, intorno e dentro le cose, un ronzio di ultrasuoni, indecifrabile e coinvolgente. E’ un ronzio in cui si mescolano l’ansia e la vitalità, la cognizione del dolore e quella del mistero”. L’esposizione, curata da Paolo Biscottini, presenta 21 opere dell’artista faentino su temi biblici e su particolari aspetti del paesaggio urbano milanese, che evocano le grandi tensioni dello spirito umano e traggono ispirazione dalle parole del libro biblico del Qohèlet, Ciò che è stato è ciò che sarà, ciò che è stato fatto è ciò che si farà. Niente di nuovo sotto il sole.In particolare, il racconto di Emmaus è stato interpretato privilegiando l’universale sentimento umano dell’attesa e dello stupore, ovvero l’ansia di chi, dopo il lungo viaggio dell’esistenza, avverte il mistero che improvvisamente si rivela. Il mito della Torre di Babele si proietta nella condizione esistenziale e trova, anche all’interno del tessuto metropolitano, segni inconfondibili della profonda contraddizione tra l’orgogliosa pretesa di scalare il cielo e la generosa volontà di conquista propria dell’uomo costruttore.Proprio i riferimenti al paesaggio urbano riconducono lo splendore del mito alla quotidiana cronaca dell’esistenza umana. Come ha scritto Elena Pontiggia, “Il suo orizzonte di indagine è sempre stato la città, come abitazione dell’uomo. Anche quando rappresenta la natura cerca le rovine, le memorie, il presentimento della figura umana. La città, del resto, è anche il luogo dell’architettura. E per Timoncini la costruzione è qualcosa di più di un tema: è un atteggiamento, un modo di essere, una metafora dell’arte e della vita stessa. Per lui, comunque, la visione si compone di due parti: il visibile propriamente detto e l’invisibile. Pur essendo sempre stato un realista, non ha mai avuto della realtà un concetto angusto, circoscritto. Ha sempre percepito, intorno e dentro le cose, un ronzio di ultrasuoni, indecifrabile e coinvolgente. E’ un ronzio in cui si mescolano l’ansia e la vitalità, la cognizione del dolore e quella del mistero”. L’artista Luigi Timoncini è nato a Faenza nel 1928. Si trasferisce a Milano nel 1951 e conclude gli studi a Brera. Nel 1962 tiene la sua prima personale alla Galleria Il Prisma in Milano con una serie di quadri vicini alle esperienze della giovane pittura milanese. Nell’ambito del realismo esistenziale il suo lavoro andrà acquistando una sempre maggiore indipendenza, divenendo una personalissima testimonianza della desolazione delle periferie urbane, fino al quadro del 1975 “festa grande per tutti”, che rimane una sorta di trofeo ellenistico del consumismo da week-end, della sua illusorietà plastico-dionisiaca. Al lavoro di pittore affianca un intenso lavoro di incisore affidando al segno una inconfondibile forza espressiva e una scarna efficacia evocativa. Ha tenuto oltre settanta mostre personali ed è presente in rassegne importanti. Partecipa attivamente alla vita culturale e artistica milanese, dal 1993 al 2003 è Direttore della Scuola Superiore d’Arte Applicata del Castello Sforzesco di Milano e nel 1999 ha ricevuto dal Comune di Faenza la medaglia d’oro del “faentino lontano". La mostra LUIGI TIMONCINIMilano, Museo Diocesano (Corso di Porta Ticinese, 95)Fino al 23 maggio 2010Orari: dal martedì alla domenica, 10-18, lunedì chiuso.Ingresso: intero: 8 Euro; ridotto 5 Euro; solo il martedì: 4 Euro Il biglietto consente la visita alle collezioni del MuseoPer informazioni: tel. 02.89420019; www.museodiocesano.it