Una testa bianca, barbuta, lo sguardo fisso, impenetrabile, osserva dall’alto il via vai della folla, i capanelli di pensionati che discutono, le biciclette che passano. È lì da sempre, a metà altezza di quel campanile massiccio e squadrato che pare una torre di guardia di un fortilizio, e che probabilmente lo è stata davvero. È il ritratto dell’imperatore Barbarossa, mormora qualcuno, ricordando vecchie storie e antiche leggende. No, è il volto del capomastro che eresse la pieve in epoca medievale, sostengono altri, meno inclini al fantastico. O forse è piuttosto un idolo apotropaico, azzardano i cultori di studi antropologici, messo lassù per scongiurare influssi nefasti e allontanare i fulmini, chissà, laico rinforzo alla protezione dei santi. Del protomartire Stefano, in questo caso, a cui il vetusto, venerabile tempio di Vimercate è appunto dedicato.
Una chiesa davvero singolare, affascinante, questa del capoluogo della Martesana. Legata alle origini stesse della cristianizzazione di questa plaga brianzola, e più volte ricostruita, ampliata, rimaneggiata, senza mai cancellare il passato ma come aggiungendo strato su strato, generazione dopo generazione. Una storia intensa, vivissima oggi finalmente ricostruita e proposta in una pregevole pubblicazione, che raccontando della collegiata di Santo Stefano inevitabilmente, fortunatamente, rievoca anche le molte vicende dell’antica Vicus Mercati.
Sfogliando il volume, e soprattutto, evidentemente, osservando dal vivo la collegiata di Vimercate si possono così cogliere aspetti di sorprendente interesse storico, artistico e architettonico. A cominciare dai materiali di recupero di età romana, abbondanti in Santo Stefano, utilizzati ora per il loro carattere funzionale, ora come nobilitanti elementi decorativi, dal campanile fino alla cripta. Affascina l’armonia fieramente romanica delle absidi, esternamente pressoché intatte.
Suggestiona la curiosa merlatura sui fianchi, quasi a evocare pratiche memorie castellane che vanno ad aggiungersi (ma è storia più che leggenda) alla spiritualità del luogo sacro. Impressiona, in quella che viene definita sacrestia, quanto resta di dipinti tardogotici, dal segno sicuro e piacevole, con i quattro dottori della Chiesa nella volta ed altri santi cari alla venerazione dei vimercatesi. Colpisce, infine, a far da sfondo a un interno riadattato in epoca barocca e neoclassica (anche se non sempre felicemente), l’animato e coloristico ciclo di affreschi cinquecenteschi che narrano la storia e il martirio di Stefano: pitture che, già attribuite, genericamente, alla generosa scuola dei Campi, sono ora assegnate con precisione al talento visionario del bresciano Lattanzio Gambara, che le realizzò nel 1566.
Vicende ricche e complesse, lo si diceva, ora dipanate da questa bella iniziativa editoriale. Ma chi forse davvero tutto sa e tutto ha visto è proprio quella protome lassù, quel volto immobile che continua a scrutarci e che ancora tace.
Alla storia e all’arte della collegiata di Santo Stefano a Vimercate è dedicato dunque un bel volume, che spicca per la ricchezza sia degli interventi accolti, sia dell’apparato iconografico. Curato da Claudio Besana e Graziano Alfredo Vergani ed edito da SilvanaEditoriale (310 pagine, 45 euro), il volume è stato promosso dalla libreria il Gabbiano, dalla parrocchia di Santo Stefano e dall’amministrazione comunale.