01/08/2008
di Luca FRIGERIO
Delle gesta di Federico I, imperatore, re di Germania, Italia e Borgogna, si parlò per tutta la seconda metà del XII secolo, nel bene e nel male. E nei secoli a venire, con rinnovata fortuna nell’Ottocento romantico. Ma chi fu, in realtà, il Barbarossa? Per alcuni fu il campione della monarchia universale, un sovrano amato e rispettato, un eroe leggendario scomparso come martire alle crociate, morto, come Artù, soltanto in apparenza. Per altri fu invece il simbolo stesso della tirannia, l’incarnazione più cupa del nazionalismo germanico, lo scomunicato che lacerò la Chiesa. Dante lo chiamò «buono», Carducci vide in lui il nemico spietato d’ogni libertà.
Quel che è certo, è che il Barbarossa ebbe profondo il senso della dignità dell’impero, dimostrandosi forse più spregiudicato che rigoroso, più opportunista che duro. Fu, insomma, un uomo del suo secolo, o meglio: fu un plasmatore del suo secolo. Se poi sia stato un reazionario o un innovatore, un vinto o un vincitore, sono polemiche che oggi, per fortuna, non hanno più senso alcuno.
RE DI GERMANIA
Quando sia nato Federico di Hohenstaufen, con precisione non è dato sapere . Né questo deve stupire, dal momento che nel XII secolo, e fino alle soglie dell’età moderna, era difficile che l’anno di nascita venisse memorizzato. Sembra probabile, tuttavia, che Federico non avesse ancora compiuto i trent’anni quando, nel 1152, fu eletto re di Germania.
Figlio di un duca di Svevia e di una dama dei Welf di Baviera, nelle vene di Federico scorreva del resto una miscela del più nobile sangue tedesco: suo zio materno, Enrico il Superbo, era uno degli uomini più potenti della Germania, colui al quale l’imperatore Lotario aveva concesso le ambite terre di Sassonia; suo zio paterno, Corrado, lottava per il trono tedesco, e alla fine l’ottenne. I due si odiavano e si combattevano, senza esclusione di colpi, trascinando le rispettive casate in una lotta disperata. Anche Federico ne rimase coinvolto, forse sconvolto, sicuramente segnato.
In verità sappiamo ben poco dell’infanzia e dell’adolescenza di Federico. Pare che i suoi primi precettori siano stati i monaci di Lorch, che gli istillarono forse un precoce risentimento verso il papa di Roma e i suoi accoliti, i principali responsabili, si diceva allora in Germania, della caduta di prestigio dell’impero. L’educazione ricevuta dal giovane Federico dovette comunque essere innanzitutto militare, secondo gli usi per i nobili rampolli del tempo. Con il latino l’imperatore ebbe infatti sempre qualche problema, ma non con la spada.
Era un giovane inquieto, questo è certo. Dopo essersi ribellato, ancora ragazzo, al re suo zio, ne divenne successivamente collaboratore fedele, seguendolo, tra il 1147 e il 1149, alla seconda Crociata. Per Federico fu un’esperienza importante: visitò la corte bizantina di Costantinopoli, conobbe l’Oriente, strinse amicizie destinate a durare per tutta la vita, e dette prova di coraggio, di abilità militare e anche di una certa durezza, come poi avrebbero sperimentato i “ribelli” lombardi. Da Gerusalemme riportò anche una stranezza: la barba, ornamento per nulla comune nell’Europa del XII secolo, portata solo da penitenti ed eremiti, mai da principi sovrani. Una eccentricità di cui invece il «Barbarossa» andava fiero, e di cui non mancò di servirsi in più di un’occasione.
Federico venne dunque scelto per salire al trono di Germania, con la speranza che egli, per metà svevo e per metà bavaro, potesse veramente essere il «Principe della concordia» dopo anni di sanguinose contese. E di fatto, la sua Landfriede (Costituzione di pace) fu un modello di buon governo , attuata anche grazie a patti stipulati con grande abilità diplomatica sia con i potenti signori tedeschi, sia con le ricche città mercantili. Ma il Barbarossa non era affatto tenero, soprattutto con chi osava mettere in dubbio la dignità e la supremazia della sua corona.
LO SCONTRO IN LOMBARDIA
Quella in Lombardia fu una sporca guerra . Da entrambe le parti vennero commesse stragi e atrocità, ma le più celebri, anche perché propagandate in lungo e in largo dai cronisti ambrosiani, rimasero quelle commesse da Federico. Ne fu un terribile esempio l’assedio di Crema, quando l’imperatore fece legare i prigionieri milanesi e cremaschi sulle macchine da guerra mandate all’assalto, sperando in questo modo di terrorizare e impietosire quanti stavano dentro le mura. Ma così non avvenne.
Al termine del conflitto con i Comuni lombardi, il Barbarossa, ormai anziano, rivolse tutta la sua attenzione a una nuova crociata in Terrasanta . Morì durante il viaggio verso Gerusalemme, e il suo corpo, smembrato secondo l’uso del tempo, fu sepolto in più luoghi. Dei suoi sepolcri, oggi, non resta traccia, né di lui reliquia. «Anche per questo», ricorda lo storico Franco Cardini, « si sarebbe più tardi formata la leggenda secondo la quale l’imperatore, che condivide con Enoch, Elia e Giovanni evangelista il destino di non essere mai morto, dorme nelle viscere della montagna turingia di Kyffhaeuser. Da lì si sveglierà, quando sarà il tempo, per guidare il popolo cristiano nell’ultima crociata contro le forze della Distruzione e della Tenebra».