30/04/2008
di Luca FRIGERIO
Il cognome è Ligari, ereditato direttamente da una contrada nel territorio di Sondrio , dove la dinastia ebbe origine. I nomi sono quelli di Pietro, il padre, Vittoria, la figlia maggiore, Cesare, il figlio minore . Una famiglia di pittori, a volte geniali, sempre talentuosi, che lasciò più di una traccia nell’arte del Settecento lombardo e che oggi viene finalmente rivalutata per i suoi meriti e le sue qualità, singole e collettive, in una grande rassegna promossa dal Credito Valtellinese per festeggiare il suo centenario. Ben tre le sedi espositive: a Milano, alla Galleria delle Stelline e al Museo Diocesano, e a Sondrio (da metà maggio).
A dodici anni, nell’ultimissimo scorcio del XVII secolo, Pietro aveva già lasciato la Valtellina natia alla volta della Città eterna. Con i pennelli ci sapeva fare, il ragazzo, e il suo benestante genitore l’aveva affidato agli insegnamenti di alcuni maestri della cerchia di Pietro da Cortona perché imparasse il bello stile romano, quel barocco aulico e classicheggiante che tanto piaceva anche alla ricca committenza alpina . Finito l’apprendistato, il giovane Ligari risalì la penisola fermandosi a Milano, dove prese moglie e mise su famiglia. Ma più che gli ambrosiani furono i suoi stessi concittadini ad assicurargli lavoro e onori: cominciò con una curiosa tela raffigurante il battesimo di una principessa indiana, e proseguì poi, ininterrottamente, con pale d’altare, quadri devozionali, scene di genere, ritratti, tutti piazzati in chiese e palazzotti tra Sondrio, Morbegno e l’elvetica Coira.
Nel 1713 gli nacque Cesare , che insieme al latte materno dovette succhiare colori e pastelli. Il figlio tuttavia seguì un percorso formativo diverso rispetto a quello paterno, andando a bottega non a Roma ma a Venezia, alla scuola di Giovan Battista Pittoni. Se fu una scelta di “rottura” è difficile dirlo, ma sembra che fin da allora il nostro Ligari junior abbia cercato una difficile emancipazione dall’ingombrante fama del genitore . Difficile perché Pietro, intuiamo, dovette vedere a lungo in Cesare un naturale aiutante, più che un artista autonomo e indipendente. E così i committenti.
Lo stesso fu per Vittoria, ma lei, evidentemente, di tre anni più anziana, non se ne doleva più di tanto. Forse perché più accomodante di carattere. O forse perché donna. Nonostante gli illustri precedenti di Sofonisba Anguissola o di Fede Galizia, infatti, ancora nel Settecento non era semplice riuscire ad affermarsi per un’artista del gentil sesso . Eppure i contemporanei ce lo confermano: la figlia di messer Pietro aveva talento, sia per la pittura, sia per la musica. Ma rimase sempre nell’ombra, a sostenere il padre nei suoi innumerevoli progetti (sì, perché il patriarca si interessava anche di architettura, di studi scientifici, di organi e di orologi), rinunciando perfino a sposarsi, o più probabilmente a entrare in convento.
Le opere presentate nella “triplice” mostra sono, per molti versi, un’autentica, piacevole sorpresa. Soprattutto, paradossalmente, per chi d’istinto storce il naso al solo nominare il termine “barocco”. Dalla teatralità delle enormi pale affollate di personaggi ai quadretti di “prova” quasi impressionisti, i dipinti della famiglia Ligari affascinano e conquistano per un linguaggio che è allo stesso tempo elegantemente raffinato e francamente diretto (come accade, in maniera impressionante, soprattutto nei ritratti dei conterranei valtellinesi ), ma anche per la divertita vivacità coloristica, per la frenesia di movimenti e torsioni. Più attento ad una plastica classicità il padre Pietro, genuinamente tiepolesco il figlio Cesare. E con una via “mediana” tra i due percorsa da Vittoria, con una sensibilità tutta femminile.
Il fulcro della mostra sui Ligari è a Milano,
fino al 19 luglio, presso la Galleria del Credito Valtellinese
(Palazzo delle Stelline) e nelle sale del Museo Diocesano.
A Sondrio, invece, a Palazzo Sertoli,
saranno esposti dal 14 maggio i disegni e le incisioni.
Info, tel. 02.48008015 – 02.89420019.