Commozione, dialogo, conoscenza, gratitudine: questi i termini che tornano più volte nella riflessione del Vicario generale, monsignor Mario Delpini, che nella sua veste di responsabile dell’Équipe della Formazione permanente del Clero ha guidato il pellegrinaggio annuale dell’Ismi, svoltosi in Libano dal 20 al 24 marzo.
Come definirebbe il bilancio di questo intenso viaggio in più tappe?
Possiamo dire che è stata grande la commozione per avere incontrato testimonianze di vita cristiana così intense e così sofferte. Aggiungerei anche i sensi di una gratitudine profonda per la Chiesa maronita del Libano e la Chiesa siro-cattolica. Ci hanno accolti con generosità e cordialità, senza dimenticare i motivi di riflessione molto gravi e seri sulle condizioni attuali e sulle prospettive future di questo piccolo Paese, tanto complesso, travagliato da guerre e da massicci spostamenti di profughi.
Qual è la testimonianza che più ha colpito i 130 sacerdoti partecipanti?
Ciò che sicuramente ha commosso di più e attratto l’attenzione è stata la testimonianza di una famiglia siriana, composta da padre, madre e figli, tutti sequestrati da Daesh. Sono stati rapiti i ragazzi e il papà si è consegnato per stare loro vicino. La famiglia, tenuta prigioniera per un anno intero, è stata poi finalmente liberata con difficili trattative di riscatto. Ci ha colpito molto questa testimonianza, perché la forza che li ha sostenuti, nell’affrontare un momento così drammatico, è stata la preghiera intensa.
Il cardinale Scola nel suo videomessaggio ha parlato di martirio come chiave d’interpretazione del ruolo dei cristiani nel presente; martirio, almeno per noi qui adesso, differente dal martirio del sangue, ma comunque martirio della pazienza…
Il messaggio del Cardinale è stato il suo modo di essere presente a questo gruppo di preti portando il proprio affetto. La vicinanza di date con la visita del Santo Padre a Milano non ha reso possibile la sua presenza tra noi, ma il messaggio che ci ha inviato, molto apprezzato, è stato chiarissimo. Infatti l’insistenza dell’Arcivescovo è stata proprio l’identificare il contributo che il cristianesimo ha dato alla storia del popolo libanese e l’invito a comprendere e tenere nel cuore la testimonianza che esso offre. Evidente l’invito per noi a uscire dal narcisismo e dall’autoreferenzialità che talvolta imprigiona l’Europa, per farsi invece carico degli altri, del mondo, appunto, con un’autentica testimonianza cristiana.
Cosa si aspetta come risultato, non solo immediato, da questo pellegrinaggio?
L’obiettivo del pellegrinaggio dei preti giovani (dal primo al decimo anno di ordinazione sacerdotale) è sempre quello di incontrare una Chiesa particolare per condividere e approfondirne la conoscenza nelle sue varie manifestazioni. Abbiamo quindi una finalità di tipo spirituale, che si riferisce alla dimensione della fede, e una finalità culturale, insieme all’obiettivo di una intensificazione dei rapporti fra noi. Questo durante il viaggio si è visto.
Insomma, avete toccato con mano quella possibilità di riforma del clero che va nel senso di una maggiore comunione presbiterale…
Sì, anche perché quando si è insieme per alcuni giorni – anche pochi – si crea, comunque, una facilità di rapporti e la familiarità negli incontri è intensa e molto favorita.
Questa è una formula da riprendere anche l’anno prossimo?
Certamente. D’altra parte, il pellegrinaggio dell’Ismi si è sempre compiuto tutti gli anni: è un’iniziativa alla quale l’Arcivescovo partecipa e a cui tiene molto.