Quella splendida pagina dell’Arcivescovo Montini si è rivelata davvero profetica e mi pare significativo riprenderne qualche passaggio per coglierne i riflessi nel magistero e nella vita del nostro Arcivescovo e intravedere così, quasi in trasparenza, il suo profilo sacerdotale. Del resto, lui stesso ci ha confermato proprio a Nazaret quanto le parole dell’arcivescovo Montini, che hanno dato inizio al suo sacerdozio, siano profondamente radicate nel suo cuore e nella sua vita.
L’omelia di Montini è stata anzitutto profetica nella capacità di delineare la fisionomia del prete, ricalcandola sulla figura di Cristo: «Abbiate gli stessi sentimenti, la stessa psicologia, la stessa capacità che ebbe nostro Signore Gesù Cristo, e prolungate quanto volete, anche per tutta la vita, questa riflessione e questa eguaglianza; e troverete di che sempre alimentare la vostra spiritualità». Il riferimento originario a Cristo è il richiamo che l’arcivescovo Tettamanzi costantemente rivolge al presbiterio diocesano. Solo per fare un esempio recente, l’omelia della Messa Crismale 2007 ha avuto come centro l’invito a “contemplare la giornata di Gesù” e confrontarla con le nostre giornate di discepoli e di evangelizzatori. Sento un’eco particolarmente preziosa delle parole di Montini là dove l’Arcivescovo ricorda ai preti che «la preghiera per le persone non è solo intercedere per loro: è anche portarle davanti a Dio per vederle come le vede Dio, è assumere il punti di vista del Padre, e quindi anche quello di Gesù, per condividere i suoi stessi sentimenti verso le persone alle quali siamo mandati: sentimenti di misericordia, di perdono, di compassione, di tenerezza».
La parola dell’arcivescovo Montini è stata anche profetica nell’anticipare alcune indicazioni del Concilio Vaticano II, invitando gli ordinandi del 1957 a «conoscere gli uomini in tutte le loro manifestazioni, in tutte le loro età, nelle loro inesauribili qualità di cui Cristo li ha dotati. Capaci non solo di conoscere, ma di cercare gli altri». Come non andare alle dichiarazioni del Concilio che otto anni dopo, parlando del ministero e della vita dei presbiteri, avrebbe detto: «Per il loro stesso ministero sono tenuti a non conformarsi con il secolo presente ma allo stesso tempo sono tenuti a vivere in questo secolo in mezzo agli uomini, a conoscere bene, come buoni pastori, le proprie pecorelle, e a cercare di ricondurre anche quelle che non sono di questo ovile, affinché anch’esse ascoltino la voce di Cristo, e ci sia un solo ovile e un solo pastore». Il segreto di questa passione è quell’amore per Dio e per gli uomini che – continuava Montini – «si misura col dono di sé». Qui mi piace pensare che un tratto distintivo del card. Tettamanzi – tanta gente me lo conferma ogni giorno – è proprio la continua disponibilità a donare tempo per incontrare i fedeli delle parrocchie, gli amministratori locali, i rappresentanti delle varie categorie professionali, come anche la volontà di prendersi a cuore le nuove situazioni di marginalità e povertà della grande città di Milano. Non dimentichiamo che l’anno 1957 fu proprio accompagnato dall’evento straordinario della “Missione di Milano”.
E proprio sul tema della missionarietà la parola del futuro Paolo VI è stata profetica nell’accendere nel cuore di quei giovani preti il fuoco della missione: «Siamo mandati, siamo missionari, siamo apostoli: e cioè la carità di Dio, che si comunica a noi, ci dà questa spinta, questo anelito verso gli altri, che, se vogliamo essere fedeli, non deve calmarsi mai, finché uno restasse fuori dall’ovile di Cristo». In effetti, la missione impronta tutta l’azione pastorale del nostro Arcivescovo, anzi – come ancora ascoltavamo nella Messa Crismale – la missione «è il cuore e il senso delle scelte pastorali di questi anni», quali i due percorsi pastorali, la cosiddetta nuova strategia pastorale (con l’impulso a una rinnovata pastorale di insieme e l’avvio delle comunità pastorali), la sperimentazione circa l’iniziazione cristiana, il rafforzamento della cooperazione tra le Chiese (con l’invio di sacerdoti e laici Fidei donum), la visita pastorale decanale, le scelte circa il seminario e la formazione permanente, la nuova modalità di ingresso nel ministero presbiterale. Scelte pastorali non facili da assumere e che vanno attuate coniugando insieme coraggio e prudenza (e tanta pazienza…). Ma scelte che l’Arcivescovo considera decisive per rispondere alla sete di Vangelo in questo mondo che cambia. Per questo non ha paura di assumerle come servizio della sua autorità pastorale.
E a conclusione della sua omelia, l’arcivescovo Montini, si soffermava proprio sul tema dell’autorità. Diceva: «L’esercizio dell’autorità non si disgiunga da voi dall’esercizio dell’amore» e così ne descriveva le caratteristiche: «Dolce e paterna, soave e mansueta, e capace di trionfare sopra la malizia, sopra l’importunità altrui con la bontà». E ancora: «Troverete che la normale maniera di amare gli altri è quella di mettersi a loro servizio, di essere da quest’oggi a loro disposizione, di non essere più capaci di dir di no, di essere in mezzo a loro non come colui che dà per essere servito, ma va per servire».
Grazie, Eminenza, perché ci testimonia quotidianamente la verità di queste parole. E permetta che ci uniamo a lei e ai suoi cari compagni nel rivolgersi al Signore con la preghiera che da cinquant’anni custodite in voi come il segreto del continuo rinnovarsi del vostro sacerdozio: «O Signore, dà a questi tuoi ministri un cuore nuovo, puro, grande, forte. Un cuore, insomma, o Signore, capace veramente di amare, cioè di comprendere, di accogliere, di servire, di sacrificarsi, di essere beato nel palpitare dei tuoi sentimenti e dei tuoi pensieri». Auguri, Eminenza.