Del seminario teologico di Venegono accenno soltanto a un fatto e a un’esperienza. Il fatto è la morte di un santo, il cardinale Alfredo Ildefonso Schuster. Eravamo nell’estate del ’54 al termine della prima teologia, pronti di mattino prestissimo per la grande passeggiata delle vacanze. Mi pare di rivivere quella notte strana, misteriosa: tutti convocati in cappella a pregare per l’Arcivescovo e, a un tratto, il Rettore che entra e ci dice: «Ha cessato di battere il cuore di un santo». Era il cuore del cardinal Schuster, dal quale avevamo ricevuto la Sacra Tonsura e ascoltato l’ultima predica, noi radunati sul pendio alberato sotto la finestra del suo appartamento e lui dal balcone: «Voi desiderate un ricordo da me. Altro ricordo non ho da darvi che un invito alla santità». Per tanti anni l’avevamo visto nelle sue visite in seminario, spesso improvvise e quasi sempre rapidissime: l’impressione, anzi la convinzione di tutti era di trovarci di fronte a un Vescovo “tutto uomo di Dio”, “tutto preghiera”. Ora vorrei chiedervi di pregare tanto per me, perché mi sia data la grazia di essere successore il meno indegno possibile degli Arcivescovi santi che mi hanno preceduto.
Quanto poi all’esperienza maturata negli anni della teologia – attraverso la vita comunitaria, lo studio, la preghiera -, la potrei condensare in termini di estrema semplicità con questa parola di san Tommaso d’Aquino: la fede termina sempre a una persona, alla persona di Cristo. Tutto, proprio tutto, in seminario è stato posto al servizio di questa “relazione” personale e viva con il Signore Gesù. L’omelia d’ogni domenica e la scuola di teologia spirituale tenute dal rettore Colombo sono state determinanti al riguardo. In questa relazione personale con Gesù sta il cuore della vita cristiana, nelle sue diverse vocazioni e in modo tutto particolare in quella al sacerdozio.