Punto qualificante della legittimità dell’ecumenismo rimangono in ogni caso Cristo Signore e il Nuovo Testamento.
La realtà, cioè, della Chiesa come unica eredità pasquale di Cristo. Se si risale alle origini, la prima grande rottura, matrice di tutte le altre, fu quella tra Israele e i discepoli di Cristo.
Ne nacque una scissione – se così si può dire – familiare, nella quale i padri restarono senza figli e questi rimasero orfani.
Per questo il cardinale Bea aveva progettato fin dall’inizio un quarto capitolo, nel decreto sull’ecumenismo, riguardante la coscienza di fede che i cristiani dovevano avere nei riguardi degli ebrei.
L’altra critica è relativa al fatto che l’unità non può essere pensata in maniera solo interecclesiale. Se l’ecumenismo è dialogo non può conoscere barriere o preferenze .
Èovvio che qui "dialogo" non significa solo metodo. Esso implica una visione rinnovata della creazione e della storia. Che senso ha, ad esempio, il prossimo incontro di preghiera con i rappresentanti di tutte le religioni del mondo, se continuiamo a parlare del Dio dei non cristiani come di un idolo e del loro culto come di superstizione?
Se continuiamo a dire che lo Spirito del Signore è Spirito di giudizio e non di unità? Che il mondo è tendenzialmente ghettizzato tra credenti e non credenti?
Èevidente che il luogo della Chiesa non è separato.
Essa sta dove stanno tutti e non in un "altrove" che la rende dirimpettaia innocente del mondo. Problemi non facili e che pur il Concilio aveva avviato positivamente.
Il tempo, naturalmente, è irreversibile e se i cristiani lavorano, come si è già detto, «senza che si rechi pregiudizio ai futuri impulsi dello Spirito Santo», troveranno certamente la loro soluzione positiva.