Nella straordinaria cornice di Villa Panza – residenza di proprietà del Fai che sorge maestosa sulla collina di Varese -, si è celebrata questo pomeriggio la seconda sessione del convegno diocesano dedicato a “Un Evangeliario contemporaneo”. Tema della puntata varesina dell’appuntamento di studi voluto dal cardinale Tettamanzi è stato “Realizzare oggi un Evangeliario”, con il confronto serrato di alcuni dei più noti studiosi di iconografia e dei rapporti tra arte, fede e liturgia.
A monsignor Franco Giulio Brambilla, preside della Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale e Vicario episcopale per la cultura della Diocesi, è spettato il compito di tirare le fila della giornata di studi, alla luce soprattutto della tavola rotonda conclusiva dedicata agli aspetti più concreti di grafica e design. A confronto, sotto la guida del professor Giovanni Anceschi dell’Università di Venezia, Enrico Camplani, Pierluigi Cerri, James Clough, Piero De Macchi, Giovanni Lussu, Mario Piazza, Marco Pogliani e Sergio Polano. Professionisti della comunicazione, calligrafi, grafici, che hanno ragionato insieme sulla fattura del nuovo Evangeliario nel suo carattere di contemporaneità, pur in dialogo con i precedenti manufatti, dell’epoca medievale o degli anni Settanta.
Ricchi gli spunti emersi, con indicazioni importanti sul tipo di carattere da privilegiare, sull’impostazione della pagina, sul rapporto e l’equilibrio tra parola e immagine, con tutta la carica simbolica e didattica che l’iconografia ha sempre rappresentato nel “racconto” della Scrittura. Altro tema toccato dal dibattito fra esperti è stato quello della scelta delle immagini, che verrà poi concretamente affrontato con gli artisti convocati dall’Arcivescovo.
Un Libro che raccogli in sé infiniti significati simbolici, «corpo di Cristo incarnato nella Scrittura, così come nel pane della consacrazione», come ha sottolineato nelle sue conclusioni monsignor Brambilla. Il teologo milanese ha invitato tutti i presenti a immaginare la lunga e solenne processione con cui l’Evangeliario fa il suo ingresso nel Duomo di Milano: dapprima chiuso, a significare «la presenza di Cristo incarnata nella Scrittura» e poi che si apre al racconto, «che narra una storia, una vicenda che deve interpretare la storia di ognuno di noi».
Ecco di nuovo la dialettica fra tradizione antica, storia e contemporaneità, che il ricco e prezioso manufatto che l’Arcivescovo si accinge a realizzare porta dentro di sé.
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