1. C’è un primo capitolo che si intitola: dove guardi?
Si interroga sulla direzione che io, tu, stiamo dando alla nostra vita. Qual è la meta che desideri, che ti attrae? Lo sguardo è una immagine del desiderio, dell’attrattiva: che cosa desideri? Che cosa ti attrae?
Una persona che non desidera nulla, una persona che non è attratta da nulla, dove va? Per che cosa impegna le sue risorse, il suo tempo, la sua vita?
2. Il secondo capitolo: come guardi?
Nel Vangelo di oggi si affronta il tema dello sguardo: come guardano, che cosa vedono gli scribi dei farisei? Come guarda, che cosa vede Gesù? Alcuni scribi dei farisei, «vedendolo mangiare con i pubblicani e i peccatori», criticano Gesù per un comportamento fuori legge. C’è lo sguardo malizioso, sospettoso, sprezzante. È lo sguardo malato.
Gesù «vide Levi, figlio di Alfeo, seduto al banco delle imposte». Come guarda Gesù? come mi guarda Gesù? come mi insegna a guardare Gesù? Con tre parole si può rispondere a queste domande.
2.1 La stima. Gesù vede Levi, figlio di Alfeo, e ha stima di lui. Fa un mestiere che lo rende odioso, ma Gesù ha stima di lui. È seduto come uno che si è accomodato nella vita, assestato nella ripetizione. Ma Gesù ha stima di lui. Gesù vede in Levi figlio di Alfeo il bene che c’è, il bene che desidera, la sua disponibilità ad alzarsi in piedi e a seguire Gesù. C’è del buono in questo pubblicano!
Gesù mi guarda e ha stima di me. Anche se io ho l’impressione di non valere niente, anche se ho l’impressione che nessuno si aspetti da me qualche cosa di buono, Gesù ha stima di me, si aspetta qualche cosa di buono da me.
Vuoi imparare a vedere come Gesù? Comincia dalla pratica dello sguardo per esprimere la stima per coloro che vedi. Mi aspetto qualche cosa di buono anche da chi si è reso odioso e si rende odioso per il mestiere che fa, per il ruolo che ha. Mi aspetto qualche cosa di buono anche da chi mi sta vicino, da quelli di casa mia.
2.2 La benevolenza. Gesù guarda e non giudica; conosce, ma non giudica; è santo, ma non giudica. Considera anche coloro che fanno del male come infelici che devono essere consolati. Sta a mensa con i pubblicani. Sa che sono disprezzati dal contesto in cui si trovano, ma il suo sguardo è originale: li guarda come i destinatari della propria missione. “Ecco: sono venuto per voi, peccatori; voi, disprezzati; voi, che non godete nessuna stima”.
Gesù mi guarda con benevolenza: sa che sono fragile, ma mi guarda con benevolenza, mi vuole bene; sa che non sono all’altezza della vita cristiana che sono chiamato a vivere, ma mi vuole bene lo stesso.
2.3 L’amabilità. Gesù vede in Levi, figlio di Alfeo quello che lo rende amabile. C’è qualche cosa in Levi che Gesù desidera condividere. Lo chiama a far pare del gruppo dei Dodici. Desidera che sia tra i suoi amici. Gesù chiama anche me, trova in me quello che mi rende amabile ai suoi occhi. Cerca una relazione buona.
Anch’io posso esercitarmi nella pratica della amabilità; riconoscere nelle persone che mi stanno intorno i tratti che le rendono amabili. È possibile stabilire un rapporto personale. In ogni incontro c’è una chiamata alla fraternità, cioè a stabilire rapporti, a condividere la vita. Ogni persona ha tratti che la rendono amabile e fanno desiderare l’incontro. Se guardi una persona e la trovi detestabile significa che non la vedi bene, non la guardi con lo sguardo di Gesù.
Dunque, per celebrare il Giubileo noi siamo qui per chiedere a Gesù di cogliere il suo sguardo su di noi, la stima, la benevolenza, l’amabilità con cui ci riconosce e ci chiama e così imparare anche noi a guardare gli altri, con la stima, con la benevolenza, con l’amabilità che abbiamo imparato da Gesù.
Il giubileo è l’anno di grazia in cui il nostro sguardo può essere guarito e lo sguardo di Gesù su di noi ci guarisce, ci dà speranza, ci rende pellegrini di speranza.