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Dalla inadeguatezza alla sovrabbondanza. Quelli del numero sette

Anniversario della morte del Servo di Dio mons. Luigi Giussani (Milano – Duomo, 12 febbraio 2025)

12 Febbraio 2025

1. Il rimprovero di Gesù

Ma voi, amici miei, non vi accorgete dei quattromila che camminano nel deserto? Non provate compassione per la loro fame, per l’asprezza del cammino, per la lontananza da casa? Ma voi non vi lasciate interpellare da questo assedio della miseria? Non vi lasciate commuovere da questo attaccarsi ad ogni spiraglio di speranza fino ad inoltrarsi temerari e incoscienti in una terra desolata?

 

2. Le scuse dei discepoli

I discepoli sono però persone ragionevoli. I discepoli sono persone assennate e previdenti. I discepoli presentano a Gesù le buone ragioni del loro atteggiamento. I discepoli rispondono: “Che possiamo farci noi? Abbiamo così poco! Siamo così pochi!”. I discepoli assennati dichiarano la loro impotenza: “I bisogni della gente sono troppo enormi, le miserie sono troppo sproporzionate alle nostre risorse. Tanto vale non pensarci, tanto vale lasciare che la gente vada al suo destino. Se vogliamo sopravvivere, dobbiamo diventare indifferenti”. Indifferenza.

I discepoli rispondono: “Noi dobbiamo pensare a noi stessi. Noi abbiamo preso il pane per noi. Non siamo gente sprovveduta come questa folla. Noi ci aiutiamo tra noi. L’importante è la buona qualità dei nostri rapporti, la coesione del gruppo. Se vogliamo sopravvivere, dobbiamo essere uniti e pensare a noi stessi”. Autoreferenzialità.

I discepoli rispondono: “Questi quattromila non meritano la tua compassione, Signore. E neppure la nostra. Sono gente inaffidabile: oggi entusiasti e domani indifferenti, oggi pronti a seguirti nel deserto e domani pronti a condannarti a morte. La gente è stupida. La gente è sedotta da ogni illusione: oggi seguono te e domani seguiranno il primo che passa. Se vogliamo sopravvivere dobbiamo chiamare le cose con il loro nome e giudicare il mondo per quello che è”. Giudizio e disprezzo.

I discepoli rispondono: “Per quanto ci diamo da fare, non riusciremo mai a risolvere il problema. Noi sentiamo compassione, ma la nostra compassione non produce pane. Noi abbiamo cercato in tutti i modi di farci carico dei bisogni della gente, abbiamo fatto di tutto per dare un aiuto e indicare una strada. Ma non ci hanno ascoltato; il nostro sforzo non ha prodotto risultati. Siamo preoccupati, ma impotenti”. Scoraggiamento.

 

3. Il sette

Ora parliamo del numero sette.

I discepoli che con molti argomenti assennati hanno dichiarato la loro inadeguatezza di fronte ai quattromila dichiarano quello di cui dispongono: sette pani. Il numero sette è il numero dell’inadeguatezza. Il numero della povertà. Per i discepoli è l’argomento della loro inerzia.

Per Gesù è quello che basta per saziare la gente numerosa e affamata: «E portarono via i pani avanzati: sette sporte». Il numero sette diventa il numero della sovrabbondanza. Quel poco che c’era, messo a disposizione di Gesù si è rivelato sovrabbondante.

Noi siamo qui radunati per celebrare questa rivelazione: il poco che siamo (il poco che abbiamo, i pochi che ci stanno, ecc.) messo a disposizione di Gesù basta per i quattromila. La storia del movimento di Comunione e Liberazione è ancora una conferma di quest’opera di Dio, della fecondità dell’affidamento al Signore Gesù. Si potrebbe dire che noi siamo “quelli del numero sette”.

“Quelli del numero sette” sono quelli disponibili alla conversione nell’incontro con Gesù: per la sua parola e la sua grazia si convertono dall’indifferenza alla compassione, dall’autoreferenzialità alla docilità, dal giudizio sprezzante al discernimento benevolo, dallo scoraggiamento alla fiducia e allo stupore.

“Quelli del numero sette” sono quelli che vivono la docilità operosa: non hanno un loro programma, ma si prestano con prontezza e generosità a servizio della compassione di Gesù. Si danno da fare e, immagino, facendo si entusiasmano, si rendono conto delle meraviglie che il Signore sa operare, distribuiscono ogni pane come un punto esclamativo, come un segno di sollecitudine, come l’invito alla gratitudine. Ogni pane, ogni dono è rivelazione e vocazione a riconoscere Gesù e a convincersi che vale la pena di seguirlo. Seguendo lui non manca nulla.

“Quelli del numero sette” sono quelli che non buttano via niente. Ogni singolo frammento deve essere raccolto, ogni piccola cosa è un dono, è un segno, è una testimonianza. Non c’è niente di così piccolo che non sia utile, non c’è nessuno così povero o sbagliato che sia insignificante, che possa essere scartato. Non buttano via niente.

Le sette sporte della sovrabbondanza hanno contribuito a far apprezzare il numero sette come il segno di una completezza, tutto il tempo è dentro i sette giorni della settimana e il numero sette descrive tutti gli aspetti della vita cristiana attraverso i sacramenti, le opere di misericordia, le virtù da praticare e i vizi da evitare, fino agli angeli del tempo ultimo. “Quelli del numero sette” sono quindi quelli che praticano l’arte del tenere insieme, dell’abbracciare tutti, del fare delle differenze una ricchezza, anche dentro la complessità delle nostre comunità, anche dentro le vicende del Movimento.

Queste caratteristiche di quelli del numero sette possono facilmente riconoscersi in alcuni tratti dell’esperienza di fede e della vita e testimonianza di don Giussani. Forse anche noi potremmo avvertire il fascino di essere “quelli del numero sette”.