1. Orfano nella prima adolescenza.
Di san Guido si raccontano il gran bene compiuto negli anni del suo episcopato, la memoria incancellabile lasciata nella storia della Chiesa e della terra di Aqui, la cattedrale e il magistero. Già è noto e ammirato il suo operato da uomo di Chiesa con responsabilità di primo piano.
Parliamo piuttosto della sua condizione di “orfano nella prima adolescenza”: forse c’è un messaggio per questa nostra stagione in cui forse si può riconoscere la stagione degli adolescenti orfani. Orfani perché i genitori non sanno che cosa dire, sembrano che non abbiano niente da insegnare; orfani perché la famiglia si è sfasciata e il rapporto con il papà e con la mamma è diventato più un vagabondaggio che un trovar casa e sicurezza; orfani perché si chiudono in una solitudine impenetrabile in cui si agitano i mostri e le paure, la rabbia e la volgarità che scorre sui social, le evasioni fantastiche e l’irraggiungibile ideale della bellezza e dell’eroismo.
In questa stagione dell’adolescenza degli orfani, celebriamo il santo patrono san Guido e chiediamo per sua intercessione che la vita sia promettente anche per questa generazione.
2 Le promesse.
2.1 L’attrattiva dell’amore personale per Gesù.
L’adolescenza orfana attende una parola che chiami. Le sue insicurezza inducono ad aggregarsi alla folla che segue il personaggio del momento. Anche Gesù è stato un personaggio del momento, ma ha rifiutato questo ruolo perché ha voluto essere l’amico che chiama all’amicizia, il Signore che chiama alla sequela. Non colui che seduce per garantirsi il successo, ma colui che chiama per offrire l’amicizia che dà vita, che rende possibile vivere come lui. La folla numerosa che andava con Gesù rimane sconcertata dalle sue pretese: Colui che non porta la propria croce e non viene dietro a me, non può essere mio discepolo. Ma l’adolescente cerca proprio chi lo chiami per nome, chi lo voglia amico, chi gli proponga l’audacia radicale dell’obbedienza.
2.2 L’incanto.
Non abbiamo ricette e non basta la retorica, l’appello al volontarismo rischia di essere esasperante, la proposta di rimedi specialistici rischia di ridursi a una rassicurazione precaria.
Forse abbiamo la responsabilità dell’incanto.
L’incanto di una vita adulta contenta, l’incanto di adulti che meriti la stima di tutti, l’incanto di uomini e donne che attestano che vale la pena di vivere, che vale la pena di amare la vita, che vale la pena di vivere nella fedeltà e nella mansuetudine, che vale la pena di fidarsi di Dio.
L’immagine ideale del sommo sacerdote offerta dalla prima lettura per esaltare la qualità dell’episcopato di san Guido offre una traccia, non propone un ideale impossibile.
La vita adulta è incantevole non perché ci siano adulti che pretendano di essere ineccepibili o che siano perfetti, ma perché vivono una vita che accoglie la benedizione di Dio: Dio fece posare sul suo capo la benedizione di tutti gli uomini e l’alleanza, lo confermò nelle sue benedizioni. Dio ne fece un uomo di pietà che riscosse una stima universale.
Fa bene agli adolescenti orfani incontrare uomini e donne che riconoscono di vivere nella benedizione di Dio, che sono capaci di pregare.
Fa bene agli adolescenti orfani incontrare uomini e donne che meritino la stima di tutti, perché sono persone serie, perché affrontano le responsabilità con serietà, coerenza, passione e che, in sostanza, siano adulti affidabili, contenti di essere adulti, di aver fatto scelte definitive, di essersi sposati e avere dei figli, di essere consacrati e di spendersi per il loro ministero.
Gli adolescenti orfani hanno bisogno di vivere l’incanto di uomini e donne che possano testimoniare che la vita è promettente e che vale la pena di vivere facendo il bene possibile.
2.3 La solidarietà.
L’adolescenza orfana è posseduta dal demone della paura e perciò si appiglia a qualsiasi cosa gli possa dare sicurezza. Perciò è avida del tempo per sé, perciò è avida di cose, soldi, esperienze. Per guarire della paura, per guarire dall’ossessione di non perdersi sarà provvidenziale l’esperienza della solidarietà, quella condivisione di beni alla quale Paolo fa appello. Quello che dà sicurezza non è la gelosa custodia del tuo tempo e delle tue cose, ma la generosità della condivisione, chi semina con larghezza, con larghezza raccoglierà. Dio ama chi dona con gioia.
La solidarietà che soccorre con le proprie risorse chi è nel bisogno può sembrare una imprudenza, un azzardo, un perderci, ma in realtà è il modo più saggio di gestire i propri beni: costruire sulle relazioni piuttosto che sulla proprietà.