1. “un silenzio rotto solo da singhiozzi di disperazione”.
Quell’alba di angoscia ha raccolto i segni della disperazione. Ormai! Non c’è più niente da fare! L’assalto dell’esercito invincibile dei nemici non può essere contrastato. La città è finita, la vita è finita, tutto ciò che c’è di più caro è destinato inevitabilmente al saccheggio e alla distruzione.
E Gesù, portando la croce, si avviò verso il luogo detto del Cranio, in ebraico Golgota dove lo crocifissero (Gv 19,17). In quell’ora tragica si decreta la fine di un uomo innocente insopportabile per i padroni della città. Ecco: ormai è finita. Va’ a morire da solo, nazareno, re dei giudei. Ora non interessi più a nessuno. Non puoi più dare fastidio. La città non penserà più a te. Le tue parole sono cadute nel vuoto. È finita, sei stato eliminato per sempre
Forse questa impressione dell’ineluttabile circonda la comunità cristiana anche oggi. Forse anche nel nostro tempo la gente pensa: ormai la Chiesa è finita, il cristianesimo non interessa più a nessuno. Voi cristiani siete rimasti pochi sopravvissuti, siete ormai vecchi. Quel Signore in cui voi credete, le vostre devozioni, i valori che ispirano la vostra vita non interessano più a nessuno. Anche i vostri figli, anche i vostri nipoti, brava gente, non hanno però nessun bisogno di Dio, non hanno nessun interesse per incontrare Gesù, morto chi sa quanto tempo fa. I vostri monumenti, i vostri santuari, le vostre tradizioni sono parte del paesaggio, sono opere d’arte interessanti, sono manifestazioni folcloristiche popolari. Ma non c’è nessun interesse nel comprendere le ragioni, il senso, il mistero che sono all’inizio di tutto questo. Non interessa più a nessuno il Vangelo che annunciate e il Signore in cui credete.
2. Da quell’ora il discepolo l’accolse con sé.
Intorno alla croce di Gesù sono rimaste poche donne e il discepolo amato: come a confermare che l’esito della storia è già segnato, che tutto finisce irrimediabilmente nel nulla.
Invece proprio lì, proprio in quell’ora tragica sono pronunciate le parole di un nuovo inizio. Proprio nella croce, che sembra il definitivo fallimento della missione di Gesù, in realtà giunge a compimento la rivelazione della via da percorrere, del futuro da costruire, l’inizio della storia della Chiesa.
Si dice dell’inizio, dell’avviarsi di una storia nuova che sia anche salvezza per la storia vecchia, si dice di un evento che abbia potenza di creazione, si dice della Pasqua di Gesù.
Nell’alba tragica dell’assedio di Treviglio l’evento è stato il pianto di Maria. Nella desolazione della indifferenza e disperazione contemporanea quale sarà l’evento che segna una svolta?
Non abbiamo altro che il segno della Croce, che la Pasqua di Gesù. Siamo chiamata a viverla non come un rito che si ripete, ma come una vocazione che ci chiama.
Questa vocazione, come dice il Vangelo, ha due aspetti.
Gesù dalla croce vede la Madre e il Discepolo e li chiama, e affida a loro una missione, indica il principio di una nuova relazione, fondata non sulla carne e sul sangue, ma sulla parola di Gesù. Niente di nuovo può nascere se non dalla parola di Dio che crea, chiama, illumina. La predicazione della novena che ha avuto tanto seguito quest’anno come negli anni precedenti è stata una occasione benedetta. Ora si tratta di assumerne la responsabilità. La predicazione non è una proclamazione di buoni sentimenti alla folla, ma una parola che chiama, che si rivolge a ciascuno, che diventa vocazione. Quale parola dunque è giunta a me come una parola personale? come la mia vocazione, come l’indicazione di una missione da compiere?
Il secondo aspetto di questo evento fondativo è l’obbedienza del discepolo: da quell’ora il discepolo l’accolse con sé. La parola di Gesù fa nascere una nuova relazione, una comunità in cui la tradizione e il futuro convivono, la comunità in cui le generazioni si incontrano, la comunità in cui i popoli si riconoscono chiamati alla fraternità nel nome del Signore, da qualsiasi parte del mondo vengano. L’evento della novena è un segno che diventa un interrogativo inquietante: sono stati accolti non solo i devoti di sempre della Madonna delle Lacrime, ma gli altri? Quelli che vengono da altri paesi, quelli che appartengono alle giovani generazioni, quelli che prima venivano e ora non vengono più?
Ecco che cosa celebriamo: la gratitudine per il miracolo che ha salvato Treviglio e la responsabilità della missione da compiere in questo tempo in cui l’assedio non è più di un esercito armato spaventoso e invincibile. Siamo, piuttosto, assediati dall’indifferenza, dall’insignificanza, dalla rassegnazione all’inevitabile declino.
Oggi celebriamo l’evento che può essere l’inizio di percorsi inediti, non per proclamazioni solenni o per fatti clamorosi, ma perché Gesù rivolge a una persona, a due persone, a ciascuno una parola e chi riceve la parola di decide all’obbedienza.
Ecco dunque la domanda: allora chiama me?
Ecco l’inizio: eccomi!