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La comunità cristiana riunita nella sua chiesa per inquietare il quartiere?

50° dedicazione della Chiesa parrocchiale, Monza, Parrocchia S. Pio X - 11 settembre 2024

11 Settembre 2024

1. C’era una volta la domanda.

C’era una volta la domanda: “dove bisogna adorare?”. Era scontato che si deve pregare Dio. Era scontato che un popolo dovesse avere un culto, un tempio, un Dio. La domanda era dunque: quale culto? quale tempio? quale Dio?
Nel contesto di una religiosità scontata la costruzione di un tempio era una esigenza, per praticare l’adorazione necessaria per essere in buoni rapporti con Dio, era un dovere, era motivo di fierezza per dimostrare di essere capaci di opere degne della divinità, era un segno di identità e di appartenenza (“noi siamo di san Pio X!”), per affermare e manifestare la propria religione come una ragione per radunarsi e condividere valori, tradizioni, riti, preghiere; era anche una pretesa, per chiedere all’autorità, ai potenti, ai responsabili della religione di assicurare un luogo adatto per “adorare”.
I nostri padri hanno espresso questi sentimenti con la partecipazione comunitaria all’impresa della costruzione della chiesa.
Nel tempo della devozione scontata si alza la preghiera intensa di stupore e di gratitudine: davvero Dio abita in questa casa che gli abbiamo costruito?

C’era poi, in altra epoca e in alcune società, tra cui la nostra, la domanda: “perché bisogna adorare? Che senso ha andare in una chiesa?”. Non era più scontato che si dovesse rendere culto a Dio, anzi si poneva in dubbio l’esistenza di Dio e che ci fosse qualche vantaggio ad adorare Dio. Non era più scontato andare in chiesa, anzi si criticava la Chiesa, si riteneva che fosse un centro di potere, che avesse interessi politici, economici.
La domanda sul perché mai si dovesse pregare è stato il segno di un tempo di contrasti, di polemiche, di rivendicazioni di una libertà rispetto alle tradizioni, alle credenze, alla pratica comunitaria della relazione con la divinità.
Nel tempo della devozione problematica, invece della preghiera, si pratica la discussione e la polemica, lo scontro tra le ideologie e l’insofferenza verso la tradizione e l’autorità.

 

2. È venuto un tempo senza domande.

C’era una volta la domanda: dove bisogna adorare?
C’era una volta la domanda: perché bisogna adorare?
È venuto poi il tempo senza domande, o piuttosto senza domande a proposito di Dio e del rapporto con Dio da parte di uomini, donne, istituzioni. “Di Dio non sappiamo niente e non vale la pena di interessarsi di lui”.
I luoghi costruiti per adorare Dio sono diventati località turistiche, monumenti storici, manifestazione culturali più o meno meritevoli di attenzioni.
Il tempo senza domande a proposito del rapporto con Dio e della adorazione con cui onorarlo trascorre tranquillo nella indifferenza: passano tutti accanto alle chiese, ma come si passa accanto a un monumento di cui si ignora il significato.

 

3. Questo è il tempo per “essere domanda”.

Nel contesto dell’indifferenza generale verso Dio e il rapporto personale e sociale con Dio, noi celebriamo questo anniversario della chiesa e ci domandiamo: che cosa celebriamo?
Ci domandiamo perché siamo contenti di radunarci in questa chiesa circondata dall’indifferenza, ci domandiamo quali siano le nostre ragioni per mantenere bella e accogliente la nostra chiesa e quale sia la parola che abbiamo da dire alla città.

Questo è il tempo in cui la Chiesa è chiamata a essere domanda, a continuare quello stile di Gesù che incontra la donna samaritana e conversa con lei e nella conversazione mette in discussione la sua vita, il suo pensiero, la sua relazione con Dio e con gli altri.
Nel tempo senza domande, a noi tocca la missione di essere domanda, di praticare un genere di vita che si proponga come inquietante e attraente, come provocatorio e propositivo.
L’incontro con Gesù che dà senso e gioia alla nostra vita è la grazia che vogliamo condividere con tutti scuotendo l’indifferenza, offrendo consolazione nella tribolazione, speranza sempre.