- Il limite della mediocrità, del buon senso, dell’omologazione.
Ho fatto abbastanza, ho fatto quello che dovevo fare. Sono a posto. Adesso posso dire basta. Forse le persone che vivono con me. Perché dovrei sempre impegnarmi io? Posso dire basta: confronto agli altri ho già fatto troppo. C’è nella vita comunitaria la tentazione dell’omologazione, stare nella media, adeguarsi alle misure che il convivere ha reso consuetudine.
Forse il Signore mi fa giungere una ispirazione che accende un desiderio di maggiore radicalità, di una preghiera più intimamente partecipata, di una carità praticata con disponibilità e finezza illimitate, di una testimonianza più coraggiosa e limpida, di una interiorità più semplice e pura. Ma posso dire basta, posso lasciar cadere gli appelli del Signore alla santità con la persuasione che si tratta di slanci d’altri tempi, adatti a un’altra età. Adesso le condizioni di salute, l’esperienza degli anni suggeriscono di dire può bastare. C’è la tentazione di un buon senso che induce alla rassegnazione.
Forse nella vita quotidiana si presentano occasioni in cui si intuisce che si dovrebbe dire qualche cosa, fare qualche cosa per migliorare la situazione, per porre fine a una ingiustizia, per affermare un valore, per praticare la parola di Gesù. Ma la mia parte l’ho fatta, io per conto mio cerco di essere coerente, ma di più non posso fare, non posso dare. C’è la tentazione della mediocrità, di accontentarsi della misura che mi sono abituato a porre per difendere la mia tranquilla coscienza di essere una brava persona.
- La prova estrema.
Ci sono i giorni della prova estrema, quando la vita ordinaria, tranquilla, prevedibile si spezza, è travolta da una situazione drammatica. La prova estrema, quella che costringe a dichiarare la propria fede di fronte al persecutore, quando c’è un nemico che fa guerra e minaccia la vita. C’è la prova estrema. La persecuzione è l’aggressiva prepotenza di un potere ostile, come attesta la pagina dei Maccabei, come sperimenta Paolo nella sua missione, come preannuncia Gesù nel prevedere i tempi della missione dei suoi discepoli.
La prova estrema può essere anche l’aggressione di una malattia che sconvolge l’aspettativa spontanea di un benessere che sembra il segno di quella protezione di Dio di cui si ha diritto. La prova estrema può essere anche la vicenda drammatica di una comunità in cui si sviluppano conflitti, incomprensioni, tensioni profonde.
- Che faremo nei giorni della prova estrema?
La parola che è stata proclamata indica la via da seguire. Custodire l’irrinunciabile: per adattarmi ai tempi, alle situazioni, alle pretese del nemico della fede, possono rinunciare a tutto, ma c’è il punto fermo, l’irrinunciabile. Non posso rinunciare alla mia relazione con Gesù. Forse le vicende personali, comunitarie, ecclesiali possono imporre limiti, possono portare via la salute, i beni materiali, le attività tradizionali, le belle abitudini. Accetterò di perdere tutto questo. non posso rinunciare alla mia relazione con Gesù. Riconoscere la fragilità: non sono un eroe che non ha paura, che affronta le prove con doti straordinarie, fortezza esemplare, comportamento irreprensibile. Custodisco il tesoro in vasi di creta. Sono debole e limitato.
Confermare la fiducia: la straordinaria potenza viene da Dio e non da noi. La via da praticare è quell’abbandono che si lascia condurre, piuttosto che presumere di conoscere la via, che si lascia consolare, piuttosto che presumere di avere la forza di vincere. Di fronte al persecutore si presenta, esemplare, la tenace resistenza degli inermi: bambini, uomini e donne qualsiasi che la fiducia in Dio conserva nella fedeltà, fino al martirio, se fosse necessario, fino alla santità, come è necessario.