1. Sintomi di desolazione.
Forse la solitudine. Trasferiti in una città sorprendente e inquietante, inseriti in una vita agitata e complicata, sembra di essere imprigionati nella solitudine. Non conosco nessuno. Quando esco non so dove andare. Quando sto in caserma i rapporti sono funzionali. Non so con chi parlare. Essere soli, anche in mezzo a tanta gente. Essere soli, anche se inquadrati in un servizio. Ecco ci si può ammalare di solitudine.
Forse i rapporti spezzati. Come era bello stare a casa con la mamma e il papà, con la nonna e il nonno. Quelle belle tavolate della domenica! E la ragazza che si può vedere così poco e che non può venire a Milano. Quella passeggiata alla sera e conoscere tutti e salutare tutti e scherzare con tutti! e le feste, con tanta gente, con i santi del paese e la Madonna. Ecco: ci si può ammalare di rapporti spezzati e di affetti sospesi.
Forse il disagio. Sentirsi di casa eppure sentirsi sempre stranieri. Non ti chiedono chi sei, che cosa sogni, per che cosa soffri. Ti chiedono: “Da dove vieni?” come per dirti che sei di un altro paese, che sei segnato per sempre dal tuo dialetto, che sei considerato un emigrato, compatito, piuttosto che inserito. Ecco: ci si può ammalare del disagio di venire da altrove.
2. “Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli?”
C’è una promessa per uscire dalla desolazione della solitudine, degli affetti sospesi, del disagio dell’essere altrove?
Intorno a Gesù si raduna una folla che ascolta la promessa di una comunità nuova, di una familiarità aperta oltre il sangue e la carne, la casa e il paese. Gesù offre la grazia di un sentirsi a casa presso di lui, di una relazione fraterna con lui che non dipende dai legami di famiglia, non dipende dalle simpatie, non dipende dal paese di provenienza.
Ecco mia madre e i miei fratelli! Perché chi fa la volontà di Dio, costui è per me fratello, sorella e madre (Mc 3,25).
3. La vocazione a costruire la fraternità dei figli di Dio.
Trovano casa presso Gesù coloro che ascoltano Gesù che indica la via per fare la volontà del Padre.
E quale è la volontà del Padre?
Ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli in Cristo. In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo per essere santi e immacolati di fronte a lui nella carità, predestinandoci a essere per lui figli adottivi mediante Gesù Cristo (Ef 1,3s).
Ecco la volontà del Padre, che noi siamo partecipi della vita di Gesù, benedetti in lui.
Ecco la volontà del Padre, che noi edifichiamo un modo di essere uomini e donne che riconosca il principio della fraternità nell’essere figli di Dio.
La fraternità dei figli di Dio si costruisce non perché si accontenta un desiderio, ma perché ci si mette a servizio del bisogno di gioia, di compagnia, di speranza degli altri.
Ecco come possiamo vincere la solitudine: non con la pretesa di essere cercati, di essere accolti dagli altri, ma con la dedizione a cercare, ad accogliere coloro che stanno intorno a me.
Ecco come possiamo vincere la tristezza degli affetti sospesi, non con la nostalgia di tornare a casa, di tornare indietro, di sentirsi lontano, ma con l’audacia di guardare avanti e di accogliere come fratelli e sorelle e madri le persone che sono vicine.
Ecco come si vince il disagio di essere di un altro paese, non rassegnandosi a ricostruire i legami di paese in un’altra terra, ma con la pazienza di essere protagonisti dell’impresa di fare sì che ogni paese sia il mio paese.
4. L’appartenenza come fraternità.
Questa vocazione si può compiere nell’appartenenza all’arma. L’appartenenza dell’arma dei carabinieri si può vivere anche come una sistemazione professionale, come una cosa utile per me e per i miei progetti individuali. Ma coloro che ascoltano Gesù sono chiamati a essere qui e in questa appartenenza come la vocazione a costruire uno stile di fraternità e uno spirito di servizio che desidera non trovare una sistemazione conveniente, ma piuttosto offrire una accoglienza, non essere servito, ma piuttosto servire, non ripiegarsi nelle proprie tristezze ma offrire conforto a chi è triste.
L’eroismo dei carabinieri nella battaglia di Culqualber (Gondar Etiopia, 6 ottobre-21 novembre 1941) dice che questo spirito fa parte della tradizione dei carabinieri: Il maggiore Serranti, che era stato ferito e perdeva sangue, si rifiutò di lasciarsi medicare. Disse che la sua presenza galvanizzava i Carabinieri, stimolandoli a persistere nella lotta.
Speriamo che non capiti più di fare una guerra e che non sia più necessario l’eroismo del maggiore Serranti. Ma preghiamo la Virgo Fidelis perché rimanga questo spirito di corpo che induce a pensare prima agli altri che a sé, a dedicarsi alla edificazione di una fraternità ispirata dalla carità per contribuire a edificare la comunità di coloro che fanno la volontà di Dio e in questo trovano la loro gioia.