1. Le labbra e il cuore.
Dire una cosa e pensarne un’altra.
Presentarsi in modo da essere ammirati, apprezzati, attraenti ed essere convinti di non valere niente. Vantarsi di grandi imprese e riconoscere in sé stessi di essere un fallimento: c’è una forma di timidezza o di scarsa stima di sé che costruisce una immagine perché teme che se si mostrasse così com’è non piacerebbe alle persone alle quali vuole piacere (ai superiori, ai compagni, alla ragazza/o).
Onorare Dio con le labbra ma non con il cuore: eseguire una formalità, per essere in regola; ridurre il rapporto con Dio, la preghiera, le pratiche religiose a un adempimento, una dichiarazione di appartenenza sociale. C’è un’indifferenza verso Dio, c’è una superficialità che vive di banalità, che ritiene altre cose più importanti di Dio. Quello che interessa è la vita e Dio è insignificante per la vita.
Giudicare gli altri senza mettere in discussione sé stessi, presumere di essere nel giusto e perciò ritenere sbagliati gli altri e quello che fanno; pretendere di insegnare agli altri e di non aver niente da imparare.
Com’erano questi farisei e scribi che criticavano i discepoli di Gesù?
Che cosa ci espone al rischio di presentarci in un modo e di essere in realtà in un altro modo? La timidezza? L’esecuzione delle formalità senza crederci? La presunzione?
La malattia della doppiezza può avere tante cause, ma sempre fa male. Fa male a sé stessi, fa male ai rapporti con gli altri, fa male alla relazione con Dio.
2. La verità che rende liberi
L’incontro con il Signore ci indica la via della verità che rende liberi.
La verità che rende liberi è riconoscere lo sguardo di Gesù che legge nel cuore, che entra negli angoli oscuri dei nostri pensieri, là dove forse ci vergogniamo di noi stessi, là dove si è radicato la persuasione di non essere all’altezza della vita e perciò la necessità di mettere una maschera, là dove si è depositata una scusa per giustificare i peccati e il male compiuto.
Lo sguardo di Gesù penetra fin nella profondità di noi stessi. E che cosa pensa Gesù di noi? Gesù ci stima, Gesù riconosce che nella nostra verità più profonda non c’è il male, ma il bene, Gesù guarda con benevolenza anche i nostri fallimenti, anche i nostri peccati, anche ciò di cui ci vergogniamo e la sua benevolenza ci permette di dare le giuste dimensioni a ciò che siamo. Sì, hai sbagliato qualche volta, ma non sei uno sbaglio, tu sei un figlio amato di Dio. Sì, hai fallito in qualche cosa, ma non sei un fallimento, tu sei chiamato a imitare Gesù, e avrai le grazie necessarie per portare a compimento la tua vocazione. Sì, tu non sei perfetto, ma così come sei, sei adatto alla vita, sei adatto alla felicità.
Ecco la verità che ci rende liberi: conoscere noi stessi nella verità, nella luce di Dio e riconoscere che ci sono buone ragioni per aver stima di sé e per essere lieti di accogliere l’amicizia di Gesù.
La verità che ci rende liberi è quel realismo della sapienza che riconosce la fragilità e la verità di Dio. Sì, forse possiamo essere giovani, belli, ricchi, potenti, circondati dalla stima e forse anche dall’invidia degli altri. Ma in realtà siamo precari, in realtà siamo fragili, in realtà siamo mortali. E la paura della morte convince a distrarsi, a non pensarci, a vivere del presente senza pensare al futuro. La verità che ci rende liberi è la verità di Gesù. Infatti noi siamo destinati alla morte, ma Gesù che è morto e risorto, ci strappa alla morte. In Gesù abbiamo la vita eterna e perciò possiamo vincere la paura e illuminare i nostri pensieri e la nostra immaginazione e la nostra vita con una speranza invincibile.
La verità che ci rende liberi è la verità degli altri. Forse è istintivo uno sguardo sbagliato sugli altri. Chi sono gli altri? Forse sono una minaccia? Forse sono degli antagonisti, sono concorrenti che vogliono arrivare prima di me? Forse sono degli spettatori incaricati davanti ai quali posso farmi ammirare e applaudire?
La verità che ci rende liberi è rivolgere agli altri uno sguardo illuminato dalla parola di Gesù. Gli altri sono fratelli e sorelle da amare, da servire. Gli altri sono come te convocati per formare la comunità dei figli di Dio. Gli altri sono chiamati a condividere con te il cammino del bene e forse a diventare amici perché il cammino del bene sia più sopportabile, più lieto, più coraggioso.
Non c’è bisogno di recitare una parte, non c’è bisogno di mendicare un consenso o una approvazione, non basta il formalismo dell’esecuzione per essere in regola con tutti.
Quello di cui abbiamo bisogno è lo sguardo di Gesù che ci aiuta a riconoscere la verità buona di noi stessi, la verità della vita e della morte, la verità degli altri, fratelli e sorelle da amare.