- L’apostolo fa l’apologia di se stesso e del proprio ministero
L’apostolo si trova costretto a fare l’apologia di sé stesso, a difendersi dalle accuse, dalle insinuazioni che circolano nelle comunità cristiane, dalle mormorazioni di cristiani che sono scontenti di lui.
I preti, i vescovi del nostro tempo forse non scrivono lettere per difendersi, forse non fanno discorsi per argomentare le scelte. Ma certo restano feriti dalle critiche ingiuste, dalle mormorazioni sotterranee, dai “non detti” malevoli.
Quali sono le critiche? Quali sono le risposte?
Menzogna, disoneste intenzioni, inganno: l’apostolo è accusato di non dire la verità. Ci sono quelli che non ascoltano le prediche per lasciarsi convertire, consolare, istruire, ma per verificare se il predicatore dice quello che loro pensano. Interpretano le parole in modo che risultino inaccettabili. “Questo prete non parla abbastanza chiaramente a favore del Papa! Questo prete parla troppo chiaramente a favore del Papa che dice cose che non condivido!”.
Che cosa risponde Paolo?
… come Dio ci ha trovati degni di affidarci il Vangelo, così noi lo annunciamo, non cercando di piacere agli uomini, ma a Dio (1Ts 2,3s).
L’apostolo è accusa di cercare il consenso, la gloria umana, la popolarità. “Fa le cose ma per farsi amici quelli che gli interessano; dice le cose di moda perché vuole essere popolare. Dice le cose di una volta perché cerca il consenso di coloro che difendono la tradizione”.
Che cosa risponde Paolo?
Vi ho solo voluto bene, siamo stati amorevoli in mezzo a voi, come una madre che ha cura dei propri figli. Così affezionati a voi avremmo desiderato trasmettervi non solo il vangelo di Dio, ma la nostra stessa vita, perché ci siete diventati cari (1Ts 2,7-8).
L’apostolo è accusato di svolgere il suo ministero per un vantaggio materiale. Fa le cose perché ha il suo interesse, programma lavori e organizza la comunità perché ci guadagna. Intenzioni di cupidigia (1Ts 2,5).
Che cosa risponde Paolo?
Ho lavorato notte e giorno, per non essere di peso a nessuno, per rendervi evidente che il ministero non è per un mio vantaggio persone, io vivo del mio lavoro. L’unica ragione del mio ministero è di giovare a voi annunciandovi il vangelo di Dio
- Servi della Parola di Dio, il vangelo di Dio.
La difesa di Paolo non si esprime adeguatamente negli argomenti che adduce. È anzitutto la sua coscienza. Dio ne è testimone (1Ts 2,5).
Così deve agire colui che serve la comunità in nome di Dio: con il confronto semplice e limpido con Dio. Gli altri possono fraintendere, possono esprimersi dando voce ai pregiudizi, credendo più alle insinuazioni maliziose che a quello che sta sotto i loro occhi. Ma Dio non si lascia ingannare: se sono in pace con Dio, allora posso affermare con verità che “noi annunciamo il vangelo non cercando di piacere agli uomini, ma a Dio (1Ts 2,4).
Colui che serve la comunità rivela la sua ineccepibile onestà anzitutto nel non fare il proprio interesse, nel non cercare vantaggi per sé. Si tratta di riscontri obiettivi per Paolo: lavora con le sue mani e vive del suo lavoro. La trasparenza economica è il primo argomento \inconfutabile. “Vengo povero e me ne vado povero: non ci ho guadagnato niente!”
Colui che serve la comunità in nome di Dio è chiamato a rendere evidenti le sue priorità: quest’uomo vuole una cosa sola, annunciare il Vangelo Dio!
Questo richiede dall’apostolo di avere una attenta e preziosa chiarezza nel far percepire che cosa gli interessa. E una cosa sola deve stargli a cuore: il vangelo di Gesù. La parola di Dio che opera in voi credenti (1Ts 2,13).