Certo sarebbe bello che una moltitudine fosse disponibile a percorrere la terra per lodare Dio e dire: Gloria a Dio nel più alto dei cieli e sulla terra pace agli uomini che egli ama. E invece di una moltitudine si fa avanti ora un piccolo gruppo di uomini lieti e disponibili per farsi messaggeri di pace. Ma un gruppo così piccolo!
Certo sarebbe bello che i messaggeri di pace fossero parte dell’esercito celeste, cioè – secondo l’immaginazione spontanea – angeli, esseri perfetti, instancabili, creature sottratte alla stanchezza, alle passioni umane, ai peccati, e alla fragilità. E invece di angeli del cielo si fanno avanti uomini fragili come tutti i figli degli uomini, uomini animati da buone volontà, ma imperfetti, ma peccatori, uomini che si possono anche stancare, con risorse ed energie limitate.
Certo sarebbe bello che i messaggeri di pace cantassero la lode di Dio e la parola della pace a una sola voce, con una armonia perfetta, concordi nella voce, nel pensiero, nel sentire. E invece si presentano candidati che certo si vogliono bene e si stimano, ma ragionano con la loro testa e vengono da storie diverse e hanno diverse sensibilità e non sempre così ovviamente armonizzati.
Che farete, dunque, fratelli, così pochi, così umani, così diversi? E come continuerà la missione della Chiesa per portare pace nel mondo, questa Chiesa così segnata dal ridursi delle risorse, dalla fragilità delle persone, dalla complessa varietà di pensieri, sensibilità, posizioni?
In realtà, però, noi oggi non celebriamo una sorta di reclutamento di truppe speciali per una qualche missione di resistenza al male e di costruzione della pace.
Noi celebriamo le ordinazioni presbiterali, cioè il dono dello Spirito che consacra questi uomini perché siano associati alla missione di Gesù, con lo stile di Gesù, con la forza e la sapienza che vengono dall’alto, così diverse dalla sapienza e dalla potenza che viene dalla terra.
Quale è dunque il mistero che celebriamo? Quale è la missione che vi affidiamo? Quali metodi, quali risorse, quali vie dovrete percorrere?
In primo luogo, il bambino.
Il Salvatore che porta la pace e la gioia per tutto il popolo è un bambino, avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia. Egli è la nostra pace: grazie a lui, per mezzo della sua carne crocifissa, i popoli sono stati riconciliati e coloro che erano lontani, divisi tra loro, stranieri, esclusi dalla cittadinanza nel popolo di Dio, sono diventati vicini, familiari, di Dio, hanno ricevuto l’annuncio della pace. Non dimenticatevi mai del bambino. Il Salvatore ha compiuto l’opera che il Padre gli ha affidato nella fragilità di una carne mortale, simile a quella di peccato. Non dimenticate mai che è Gesù la nostra pace. Lui solo è agnello che versa il sangue dell’alleanza.
I discepoli di Gesù non devono mai abbandonare la via di Gesù. Non conta l’essere tanti o l’essere pochi: conta essere con Gesù, seguire lui, percorrere la sua via. Non conta l’essere potenti o fragili, non conta l’essere applauditi da tutti o guardati con disprezzo, non conta disporre di molte risorse o essere in miseria, conta solo essere con Gesù, condividere i suoi sentimenti, praticare il suo stile. È Gesù la nostra pace. Senza di lui non possiamo fare niente. Non potete fare niente neppure voi che oggi diventate preti, così bravi, così preparati, così applauditi. Così attesi. Senza Gesù non c’è nessuna pace, senza Gesù non potete fare niente per la pace.
In secondo luogo la costruzione ben ordinata per essere tempio santo del Signore.
Il segno della pace che Gesù ha realizzato nel suo sangue è la costruzione ben ordinata, è la comunità edificata per diventare dimora di Dio per mezzo dello Spirito. La missione non è affidata a eroi chiamati a imprese solitarie, ma alla comunità edificata sul fondamento degli apostoli e dei profeti, avendo come pietra angolare Cristo Signore. Perciò la missione di pace è missione di Chiesa, è il segno della Chiesa posto in mezzo alla storia degli uomini, fragile e discutibile come ogni storia umana, eppure solo una comunità può diffondere tra gli uomini che Dio ama la vocazione alla fraternità. I preti non sono ordinati per costruire la Chiesa su di sé, per mettersi al fondamento della Chiesa, il fondamento sono gli apostoli e i profeti e la pietra angolare è Cristo Signore. I preti non devono fare tutto, non devono essere il criterio di tutto, non possono pretendere di farsi maestri in tutto di tutti. I preti devono fare una cosa sola: curare che la costruzione cresca ben ordinata, che tutti i battezzati siano animati dallo Spirito, siano discepoli missionari. Il sacerdozio ministeriale è a servizio del sacerdozio battesimale, cioè si prende cura che ciascuno realizzi la sua vocazione.
In terzo luogo parlate del bambino: riferirono ciò che del bambino era stato detto loro.
La parola che la Chiesa ha da dire è la verità di Dio che si è rivelata nel bambino. Questo è il lieto annuncio: è nato per voi un salvatore che è Cristo Signore.
Non abbiamo altro da dire. Ma non possiamo tacere quello che ci è stato detto del bambino. Ci portiamo dietro enormi biblioteche e forse non riusciamo a dire l’essenziale. Ci consigliamo con molte discipline e forse ci lasciamo convincere che tutto quello che si deve fare è ascoltare. O parliamo troppo o siamo muti a proposito dell’essenziale. Questa umanità ferita ha certo bisogno di comprensione, di antidolorifici, ma la salvezza, la speranza viene solo da Gesù, il bambino, nato nella città di Davide.
Non so quanti fossero gli angeli della moltitudine dell’esercito celeste, ma forse i pastori erano quindici, o forse anche di meno, forse undici, come quelli convocati da Gesù sul monte di Galilea.
E dunque voi, pochi come siete, imperfetti come siete, diversi come siete, andate con tutta la Chiesa a lodare Dio e cantare la gloria di Dio e la pace per l’umanità.