- La visita pastorale
La visita pastorale è l’occasione per il vescovo per incontrare ogni comunità e dire: “voi mi state a cuore, io sento responsabilità per voi”. Ma ora si compie nella semplicità di un incontro fraterno: voi mi siete cari. Normalmente la sollecitudine per le diverse comunità è espressa attraverso i preti, i diaconi, gli operatori che ricevono dal vescovo il mandato. Ma oggi sono venuto di persona per dirvi: voi mi state a cuore!
La visita pastorale è anche il momento per dire a ogni comunità parrocchiale e locale: “Voi fate parte della Diocesi. La Chiesa non è realizzata nella singola parrocchia, ma nella comunità diocesana, nella sua articolazione decanale. Ogni parrocchia trae vantaggio dalla pastorale di insieme a livello di collaborazione interparrocchiale e a livello decanale.
Questo decanato si è evoluto, che si è ampliato e che si dovrà articolare, accoglie cristiani provenienti da altre parti del mondo e li sente fratelli e sorelle, accoglie fedeli di diverse religioni e uomini e donne senza alcuna religione. Ogni parrocchia e decanato traggono vantaggio dal riferimento alla Diocesi, alle proposte, agli eventi, ai calendari diocesani per condividere lo slancio missionario, le priorità pastorali, la sollecitudine per tutte le Chiese.
La visita pastorale è anche momento di grazia per celebrare l’Eucaristia e chiedere che la parola di Dio sia lampada per i nostri passi.
- In pieno territorio della Decapoli.
In quale terra abita la Chiesa di oggi? Abitiamo in una terra in cui siamo come Gesù, uno straniero nel pieno territorio della decapoli, La nostra lingua è incomprensibile a molti, forse la nostra presenza è antipatica, ciò che ci preme sembra che non interessi agli altri. Anche i genitori, gli educatori, i catechisti che desiderano condividere la loro fede e la loro appartenenza alla comunità con gli adolescenti e i giovani, con i vicini di casa, con i colleghi di lavoro avvertono spesso più il fastidio che la gratitudine. In pieno territorio della decapoli, cioè nella città che vive senza avvertire la benedizione di Dio e senza averne desiderio, ci sentiamo come il sordomuto del vangelo. Non riusciamo a capire, non riusciamo a comunicare.
Che cosa avviene in questo momento, in questa situazione?
2.1 Gli portarono un sordomuto e lo pregarono di imporgli la mano.
L’incapacità di comunicare, l’impressione di essere incapaci di intendere quello che si dice diventa preghiera. La via umile e fiduciosa della preghiera indica il cammino della fede semplice. Il rimedio alla nostra impotenza, la consolazione per la costatazione della nostra insignificanza si possono trovare in Gesù, nella sua presenza così discreta, nella sua accoglienza così abituale.
La nostra Chiesa è ricca di opere di carità, di attenzione ai bisogni immediati di tante persone. Rischia però di essere indaffarata al punto da dimenticare che abbiamo bisogno di Gesù, che dobbiamo dimorare in Lui per portare molto frutto.
2.2 Lo prese in disparte.
E Gesù lo prese in disparte, lontano dalla folla: c’è una grazia che guarisce la persona non cerca di farsi pubblicità, riconosce “il cuore spezzato e salva gli spiriti affranti” (Sal 33,19).
L’opera di Gesù si rivolge a ogni persona con una vocazione personale. Nessuno è solo un numero o un “caso”. Ciascuno è chiamato ad essere amico personale di Gesù, a entrare nella sua confidenza, per sentirsi dire. Io vi ho chiamato amici.
Non esiste il cristiano qualsiasi. Ciascuno è chiamato per nome, ciascuno porta a Gesù il suo desiderio di felicità e di guarigione e le sue miserie e i suoi limiti. Gesù offre a ciascuno la grazia di essere libero, di essere voce che annuncia il Regno.
La vita cristiana è vocazione personale.
2.3 Una comunità principio di riconciliazione dentro la storia
L’opera di Gesù restituisce alla Chiesa la capacità di comunicare: “effatà!”. Lo Spirito chiama ad essere una comunità aperta, a imparare ancora a dire il vangelo.
La comunità cristiana abita la storia ed è principio di riconciliazione: “Ricorda i precetti del Signore e non odiare il tuo prossimo, ricorda l’alleanza dell’Altissimo e dimentica gli errori altrui” (Sir 28,7).
Mentre l’istinto porta alla conflittualità fino alla guerra, la presenza dei discepoli di Gesù deve sentirsi incaricata della riconciliazione e della pace. Deve essere luogo di riconciliazione e di pace. Il risentimento, il desiderio di vendetta, la rottura irrimediabile dei rapporti tra le persone sono malattie che insidiano la convivenza. La difficoltà dei rapporti è vissuta come una tentazione di rendersi più semplice la vita evitando i rapporti, cercando la solitudine, diventando sorti e muti rispetto al mondo in cui si vive. Così la città diventa una convivenza di estranei. La comunità cristiana deve farsi carico di parole di comunione, di proposte di incontro, di convocazione festose, di condivisione delle fatiche e delle tristezze della vita.