- Che dire dunque dell’imprevisto, dell’imprevedibile?
L’imprevisto, imprevedibile, irrompe in ogni vita, in ogni storia. L’immaginario che pensa di programmare la vita, di prevedere le scadenze, di organizzare un progetto, forse può avere riscontro quando si tratta di una macchina, di una organizzazione.
Ma quando la programmazione si applica a una vita d’uomo si rivela una presunzione. L’imprevisto irrompe con le forme più diverse: può essere una malattia o addirittura una pandemia, può essere un incontro o addirittura un innamoramento, può essere l’atteggiamento ostile del nemico, di cui parla Matteo: l’avversario che ti porta in tribunale, l’importuno che ti costringe a fare un miglio. Può essere un incarico che viene dall’alto, può essere la frustrazione di una legittima aspettativa, come è stata per Abramo l’essersi sposato con Sara e non avere figli.
Può essere, come è stato per fra Luca, una chiamata del Papa.
Che dire dell’imprevisto?
- L’uomo devoto che si rassegna.
Nella vita di Abramo la frustrazione del sogno della paternità è un imprevisto mortificante. Ma Abramo e Sara sono gente devota. Perciò chiamano la smentita delle loro attese “volontà di Dio” e si rassegnano. Si vede che la promessa iscritta nel matrimonio si deve realizzare in un altro modo. Forse la promessa si chiama Ismaele, il figlio della schiava.
Chiamare volontà di Dio la frustrazione è un linguaggio consueto della gente devota. Ma Dio non è d’accordo. La volontà di Dio non è mai di umiliare, di mortificare, di smentire la speranza.
- L’uomo stolto che non ci fa caso.
Il pigro vive alla giornata. Non si aspetta nulla, quindi non resta deluso. Non fa nessun progetto, quindi per lui non esiste l’imprevisto, perché non prevede niente. Quello che capita capita e finché c’è da mangiare mangia. Perché stai a preoccuparti? Sta tranquillo, goditi la vita così come viene.
- L’uomo di Dio, perfetto come il Padre che è nei cieli.
Ma l’uomo di Dio chiama l’imprevisto come la situazione in cui si mette alla prova la sua fede, la libertà è provocata dalla costrizione, la vita è sconvolta e le aspettative, il bene programmato, la situazione desiderabile si rivelano impossibili e l’animo è turbato.
Nell’imprevisto l’uomo di Dio non riconosce la volontà di Dio di mortificarlo, ma non può accettare che Dio non c’entri, non può ammettere che gli venga chiesto semplicemente di adeguarsi.
La parola di Gesù indica la via: proprio lì, quando sei costretto, proprio sulla via sulla quale ti trascina una incomprensibile ostilità o una inimmaginabile fiducia e stima, proprio lì sei chiamato a diventare perfetto come è perfetto il Padre che è nei cieli.
Dunque per questa via di perfezione che chiama fra Luca e chissà quanti di noi, siamo radunati per pregare, per celebrare questa ordinazione presbiterale molto particolare nelle procedure e nella destinazione. La parola di Gesù ci provoca a definire questa via che sembra impraticabile, che si paragona con la perfezione di Dio.
Il Padre chiama alla perfezione della misericordia. La perfezione del Padre che i figli possono imitare non è quella di essere ineccepibili, capaci di non lasciarsi turbare da nulla. Piuttosto la perfezione è la pratica dell’amore che non trova mai una ragione sufficiente per il risentimento, per farla pagare all’avversario, per ricambiare il male con il male. L’imprevisto ha il volto della situazione che ti mette alla prova, dell’avversario che non ti lascia tregua, e la perfezione di Dio che gli uomini di Dio possono imitare è quella di continuare ad amare e a fare del bene.
“Mi ami ancora, anche se ti ho dato uno schiaffo?” Sì, ti amo ancora!”.
“Mi ami ancora anche se ti ho umiliato?”; “si, ti amo ancora!”.
“Mi ami ancora anche se ti ho portato via il mantello?”; “Sì, ti amo ancora!”.
“Mi ami ancora, anche se ti ho trattato come un tappabuchi?”; “Sì, ti amo ancora!”.
“Mi ami ancora anche se ti ho sottovalutato, di ho deluso, ti ho complicato la vita?”; “Sì, ancora, ancora, ancora!”
La perfezione del Padre che l’uomo di Dio è chiamato a imitare è dono di grazia, dono di Spirito Santo. Non è il carattere arrendevole, non l’arte di trovare una opportunità anche nell’imprevisto, non è una specie di astuzia di trarre il bene anche dal male. È invece molto di più di una astuzia o di una predisposizione. È una docilità all’opera di trasfigurazione che lo Spirito Santo compie negli uomini di Dio. Docili sempre, come esploratori che si avventurano nell’ignoto e interpretano con intelligenza i segni che orientano cammini inediti. E in questa docilità, lo stupore nella scoperta di sé: non pensavo di essere capace anche di questo; non avevo ancora sperimentato questo mio limite; non ho ancora messo a frutto questo mio talento. E in questa docilità, lo stupore nella rivelazione di Dio: ancora non avevo conosciuto di quale gioia viva il mistero che salva; ancora non avevo conosciuto la fecondità dell’ultima ferita, del fianco trafitto dal colpo di lancia.
La perfezione del Padre che l’uomo di Dio è chiamato a imitare è il servire. Eppure io sto in mezzo a voi come colui che serve (Lc 22,27). Non c’è altra via per essere perfetti come il Padre che quella segnata da Gesù; perfetti perché perseveranti nell’imitazione di Gesù.
A Fra Luca ora è chiesto questo particolare servizio alla comunità monastica di Monte Cassino, a ciascuno di noi ogni giorno è chiesto di stare in mezzo ai fratelli come Gesù che serve. Sei prete? Servi! Sei vescovo? Servi! Sei marito, moglie, single, giovane, anziano, con grandi responsabilità, senza titolo né responsabilità? Servi
Siate dunque perfetti … fino all’uomo perfetto, fino a raggiungere la misura della pienezza di Cristo (Ef 4,13).