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Il Giubileo: una parola al cuore del mio popolo. Appunti e spunti

Incontro Responsabili Chiese Giubilari - GIUBILEO 2025 - Caravaggio, 26 novembre 2024

26 Novembre 2024

1. “Chi” è il popolo di Dio? Che cosa ha nel “cuore”?

Per chi è il Giubileo? La prima impressione è che sia una pratica devota che coinvolge i frequentatori abituali della devozione, quindi adulti/anziani soggetti di un’appartenenza tradizionale alla comunità cristiana, capaci di coniugare devozione e turismo, preghiere sincere e intense con aspetti gaudenti.
Sembra però che ci siano uomini e donne che raccolgono l’annuncio del Giubileo come una occasione attesa, come un invito desiderato per uno spiraglio in una situazione di stallo e smarrimento.

Papa Francesco elenca come segni di speranza quelli che suonano come territori che aspettano la seminagione della speranza: la guerra, la perdita del desiderio di trasmettere la vita, la situazione dei carcerati, dei malati, dei giovani, dei poveri, degli anziani, dei migranti (cfr Spes non confundit, 9-15).
Un tratto che hanno in comune queste persone e queste situazioni è la mancanza di speranza.

2. Abbiamo ragioni da offrire per la speranza?

La speranza cristiana non è il risultato di un impegno, ma è la risposta alla promessa con cui il Padre ci chiama, attraverso Gesù, a diventare figli e quindi partecipi della vita eterna e felice di cui lo Spirito Santo conosce il segreto.

Cfr Spes non confundit: “Ma qual è il fondamento del nostro sperare? Per comprenderlo è bene soffermarci sulle ragioni della nostra speranza (cfr. 1Pt 3,15).
19. «Credo la vita eterna»: così professa la nostra fede e la speranza cristiana trova in queste parole un cardine fondamentale. Essa, infatti, «è la virtù teologale per la quale desideriamo […] la vita eterna come nostra felicità». Il Concilio Ecumenico Vaticano II afferma: «Se manca la base religiosa e la speranza della vita eterna, la dignità umana viene lesa in maniera assai grave, come si constata spesso al giorno d’oggi, e gli enigmi della vita e della morte, della colpa e del dolore rimangono senza soluzione, tanto che non di rado gli uomini sprofondano nella disperazione». Noi, invece, in virtù della speranza nella quale siamo stati salvati, guardando al tempo che scorre, abbiamo la certezza che la storia dell’umanità e quella di ciascuno di noi non corrono verso un punto cieco o un baratro oscuro, ma sono orientate all’incontro con il Signore della gloria. Viviamo dunque nell’attesa del suo ritorno e nella speranza di vivere per sempre in Lui: è con questo spirito che facciamo nostra la commossa invocazione dei primi cristiani, con la quale termina la Sacra Scrittura: «Vieni, Signore Gesù!» (Ap 22,20).
20. Gesù morto e risorto è il cuore della nostra fede. San Paolo, nell’enunciare in poche parole, utilizzando solo quattro verbi, tale contenuto, ci trasmette il “nucleo” della nostra speranza: «A voi […] ho trasmesso, anzitutto, quello che anch’io ho ricevuto, cioè che Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture e che fu sepolto e che è risorto il terzo giorno secondo le Scritture e che apparve a Cefa e quindi ai Dodici» (1Cor 15,3-5). Cristo morì, fu sepolto, è risorto, apparve. Per noi è passato attraverso il dramma della morte. L’amore del Padre lo ha risuscitato nella forza dello Spirito, facendo della sua umanità la primizia dell’eternità per la nostra salvezza. La speranza cristiana consiste proprio in questo: davanti alla morte, dove tutto sembra finire, si riceve la certezza che, grazie a Cristo, alla sua grazia che ci è stata comunicata nel Battesimo, «la vita non è tolta, ma trasformata», per sempre. Nel Battesimo, infatti, sepolti insieme con Cristo, riceviamo in Lui risorto il dono di una vita nuova, che abbatte il muro della morte, facendo di essa un passaggio verso l’eternità”

3. Il pellegrinaggio

“Il pellegrinaggio esprime un elemento fondamentale di ogni evento giubilare. Mettersi in cammino è tipico di chi va alla ricerca del senso della vita. Il pellegrinaggio a piedi favorisce molto la riscoperta del valore del silenzio, della fatica, dell’essenzialità. Anche nel prossimo anno i pellegrini di speranza non mancheranno di percorrere vie antiche e moderne per vivere intensamente l’esperienza giubilare. Nella stessa città di Roma, inoltre, saranno presenti itinerari di fede, in aggiunta a quelli tradizionali delle catacombe e delle Sette Chiese. Transitare da un Paese all’altro, come se i confini fossero superati, passare da una città all’altra nella contemplazione del creato e delle opere d’arte permetterà di fare tesoro di esperienze e culture differenti, per portare dentro di sé la bellezza che, armonizzata dalla preghiera, conduce a ringraziare Dio per le meraviglie da Lui compiute. Le chiese giubilari, lungo i percorsi e nell’Urbe, potranno essere oasi di spiritualità dove ristorare il cammino della fede e abbeverarsi alle sorgenti della speranza, anzitutto accostandosi al Sacramento della Riconciliazione, insostituibile punto di partenza di un reale cammino di conversione. Nelle Chiese particolari si curi in modo speciale la preparazione dei sacerdoti e dei fedeli alle Confessioni e l’accessibilità al sacramento nella forma individuale” (Spes non confundit, 5).

Il pellegrinaggio di cui ha bisogno la gente del nostro tempo è quello della speranza, cioè quello che è frutto della decisione di affidarsi alla promessa, di rispondere alla chiamata del Padre che invita alla sua festa. L’esperienza del pellegrinaggio di speranza è quindi quello che educa ad alzare lo sguardo: Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire sulle nubi con grande potenza e gloria (Mc 13,26).
Per accompagnare e accogliere i pellegrini è opportuno incoraggiare quel cammino che non è mosso dalla curiosità di vedere qualche cosa di nuovo. È piuttosto necessario creare le condizioni perché si avvii un pellegrinaggio verso la propria interiorità, quel guardarsi dentro che significa rientrare in sé stessi, riconoscere i propri peccati, ma insieme riconoscere quell’essere dimora di Dio che ci autorizza ad avere stima di noi stessi.
Il pellegrinaggio verso la propria verità più profonda, verso il cuore, può essere aiutato dalle condizioni che favoriscono la pratica del sacramento della riconciliazione, per dire basta ormai con il peccato.
“Anima mia, basta ormai col peccato. Pensa che puoi cadere a un tratto nell’eterno tormento, dove non c’è penitenza e il pianto non vale più a nulla. Convertiti, ora che il tempo della salvezza ti è dato e grida al Signore Gesù: “Pietà di me, tu che salvi!” (Messale Ambrosiano, All’ingresso, Ferie della seconda settimana di Quaresima).
L’annuncio della salvezza, la proclamazione del Vangelo, la pratica della Lectio perché la Parola di Dio sia lampada per il proprio cammino invitano ad accogliere il dono della vita nuova. La “vita vecchia” è insopportabile: basta ormai col peccato!
L’anno del Giubileo offre l’occasione provvidenziale per sperimentare che il fastidio, la noia, lo scoraggiamento, la scarsa stima di sé che il peccato insinua in noi non si riducono a sospirare una liberazione, a dire: “Basta!”; ma ci chiamano a metterci in cammino come pellegrini di speranza, per ottenere il perdono e la bellezza, la gioia della vita di Dio in noi.
Per reagire al rischio della banalità, per dissolvere le nebbie della confusione, per essere sinceri nel confronto con il Signore ed evitare di giustificare tutto quanto si fa, non basta considerare i pericoli dell’ostinazione nel male, l’oppressione dell’irrimediabile. Lo sguardo rivolto al Signore crocifisso, l’ascolto della Parola di Dio e dell’insegnamento della Chiesa ispirano la coscienza del peccato e la verità del pentimento.
I percorsi penitenziali e il Sacramento della Riconciliazione sono risposta alla parola del Signore che suscita la fede: nella fede la coscienza di ciascuno è illuminata per riconoscere il bene ricevuto e rendere grazie, per riconoscere i propri peccati e chiedere perdono, per addolorarsi per il male compiuto e le relazioni rovinate e cercare la riconciliazione.
L’anno liturgico e l’anno giubilare richiamano a conversione e a opere di penitenza, perché il perdono di Dio ricostruisca libertà umiliate e vite sbagliate.
La celebrazione dei Santi Misteri chiede di essere curata, compresa, partecipata perché sia esperienza della misericordia che riconcilia con Dio, con la comunità, con i fratelli e le sorelle.
In questo anno, in modo particolare, è necessario che i fedeli che celebrano l’Eucaristia siano aiutati a essere attenti alle richieste di perdono, per assumere l’atteggiamento grato dei peccatori pentiti e perdonati.
Una specifica attenzione deve essere rivolta alla cura per la celebrazione del Sacramento della Riconciliazione o Penitenza o Confessione. «Le chiese giubilari […], potranno essere oasi di spiritualità dove ristorare il cammino della fede e abbeverarsi alle sorgenti della speranza, anzitutto accostandosi al Sacramento della Riconciliazione, insostituibile punto di partenza di un reale cammino di conversione» (Spes non confundit, n. 5).
Si deve favorire una preparazione adeguata, istruita dalla catechesi, sussidiata con sapienza e celebrata nelle diverse forme suggerite dalla Chiesa.
La forma della confessione e assoluzione individuale è la più diffusa. È esposta però al rischio di un’enfasi sproporzionata sul dire i peccati, piuttosto che sul celebrare la grazia del perdono. È esposta anche al rischio di essere una pratica troppo individualistica.
Pertanto è saggio proporre, motivare e curare la celebrazione comunitaria della Riconciliazione con assoluzione individuale. La riconciliazione con Dio è dono dello Spirito Santo che opera nel Sacramento: il peccatore pentito riceve pace e perdono nella Chiesa e per essere presenza viva nella Chiesa.
La dimensione ecclesiale del peccato e della riconciliazione è troppo ignorata. La predicazione, le forme celebrative, la valorizzazione di momenti penitenziali comunitari possono essere di aiuto a quel sentirsi un cuore solo e un’anima sola che rende abituale pregare gli uni per gli altri, essere a servizio gli uni degli altri.
Può essere un aiuto per una più avvertita consapevolezza della relazione ecclesiale anche l’opera penitenziale che completa la celebrazione del Sacramento della Confessione. Il confessore può suggerire un’opera di carità per il bene degli altri o della comunità, oltre che una preghiera o un atto di devozione.

Non si può ignorare che molti battezzati hanno abbandonato il Sacramento della Riconciliazione o Confessione. Durante l’anno giubilare è doveroso domandarsi perché. È anche il momento opportuno per offrire proposte per una più realistica e intelligente comprensione del Sacramento e delle sue diverse forme, oltre che per indicare momenti in cui accostarsi al Sacramento personalmente e comunitariamente. È quindi doveroso che i preti siano preparati e disponibili per questo ministero, sia nella vita ordinaria delle comunità, sia in santuari e chiese particolarmente dedicate, sia in luoghi e tempi che durante l’anno giubilare andranno indicati.