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Giacobbe fece un sogno (Gen 28,12)

Giornata nazionale per l’approfondimento e lo sviluppo del dialogo tra cattolici ed ebrei (17 gennaio). Milano, Memoriale della Shoa - 15 gennaio 2024

15 Gennaio 2024

1. Le parole indicibili.

Viene il tempo delle parole indicibili, le parole che non sanno comunicare, suoni che servono per aggredire, gemiti che non sanno raccontare, grida inascoltabili che risuonano là dove l’uomo infligge all’uomo sofferenze inenarrabili.
Viene il tempo delle parole indicibili, le parole che vorrebbero consolare, ma Rachele non vuole essere consolata perché i suoi figli non sono più.
Viene il tempo delle parole indicibili, le parole che vorrebbero risvegliare un pensiero, ma il chiasso insopportabile delle bombe, la banalità esasperante delle chiacchiere, l’angoscia troppo profonda non lasciano possibilità di pensare.
Viene il tempo delle parole indicibili, le parole che vorrebbero essere dialogo, confronto, ricerca condivisa di un passo da compiere, occasione per guardarsi in faccia e riconoscere un volto d’uomo, di donna, e invece il dialogo è impossibile e non si vedono volti d’uomo, ma solo volti di minaccia, sguardi ostili, maschere d’odio.
Viene il tempo delle parole indicibili, vorrebbero dare un nome ai luoghi e ai tempi, per rendere abitabile la terra, invece i nomi sono sbagliati, i tempi sono enigmatici, i luoghi sono deserti inospitali.

 

2. Nella notte improbabile, nel luogo inospitale …

La notte improbabile diventa il tempo di Dio, il luogo inospitale si rivela casa Dio.
Mentre gli uomini attraversano il paese delle parole indicibili, il Signore ha qualche cosa da dire, gli angeli di Dio hanno un messaggio da portare.
Giacobbe non sa, ma proprio quella terra è Betel.
Ecco, la terra aspetta di ricevere il suo nome, il nome nuovo, il nome della sua benedizione.
Perché gli uomini non sanno, abitano una terra che porta un nome sbagliato, si confondono, si sbagliano, si sentono smarriti, si ostinano a raccontare storie che invece di seminare, sradicano, invece di costruire distruggono, invece di rendere la terra una casa la rendono un deserto.
Gli uomini non sanno.
Ma viene la notte improbabile in cui il sogno inatteso rivela perché sia possibile ancora vivere, sia possibile sperare, sia possibile stupire del sole che sorge, dei colori del mondo, della voglia di vivere che abita nei figli degli uomini.
La notte improbabile diventa notte della consolazione non perché la pietra sia meno dura, non perché la strada sia meno aspra, ma perché là, inaspettatamente si rivela la presenza di Dio.
Ecco, solo Dio può scuotere l’ottusità arrabbiata dei popoli e degli uomini, solo Dio può mostrare che la strada non porta da nessuna parte se non c’è una scala che consente agli angeli di Dio di portare parole di Dio agli abitanti della terra e parole, lamenti, angosce di uomini al Dio altissimo.
Viviamo nel buio di una notte in cui ogni terra sembra straniera e ogni nome di paese suona come un nome sbagliato. Possiamo solo invocare che ci sia un messaggio da parte di Dio per riconoscere che proprio questo luogo è Betel casa di Dio, proprio questo tempo è il tempo per ritrovare la parola che si possa dire.

 

3. Essere benedizione

E si diranno benedette, in te e nella tua discendenza, tutte le famiglie della terra. Ecco, io sono con te e ti proteggerò dovunque tu andrai; poi ti farò ritornare in questa terra, perché non ti abbandonerò senza aver fatto tutto quello che ti ho detto” (Gen 28,14.15).
La promessa che benedice Giacobbe non è un privilegio, ma una missione. Ecco: essere benedizione per tutte le famiglie della terra.
Nella notte improbabile, nel luogo inospitale l’inatteso rivelarsi di Dio confida una speranza: che gli uomini siano gli uni per gli altri una benedizione, che i popoli siano gli uni per gli altri una benedizione.
Noi forse, in un momento di smarrimento come quello che stiamo attraversano, avremo la grazia di un sogno, di una luce che indichi la vita, di un nome nuovo per chiamare la terra che abitiamo, di una parola nuova che possa essere di riconciliazione e di pace.

Egli strapperà su questo monte
il velo che copriva la faccia di tutti i popoli
e la coltre distesa su tutte le nazioni.
Eliminerà la morte per sempre.
Il Signore Dio asciugherà le lacrime su ogni volto,
l’ignominia del suo popolo
farà scomparire da tutta la terra,
poiché il Signore ha parlato.
E si dirà in quel giorno: “Ecco il nostro Dio;
in lui abbiamo sperato perché ci salvasse.
Questi è il Signore in cui abbiamo sperato;
rallegriamoci, esultiamo per la sua salvezza,
poiché la mano del Signore si poserà su questo monte”
(Is 25,7-10).

Ogni parola, in questo tempo, può essere un’arma che ferisce, un suono che disturba, una provocazione che esaspera.
Dunque il silenzio. Dunque la preghiera. Dunque l’attesa che da qualche parte si riconosca la scala che consente a Dio di visitare la terra e di farsi riconoscere da tutti i suoi figli, da tutte le famiglie della terra.