«Treviglio, salvata da una donna, continua a vivere nella devozione a Maria e a percorrere la via della salvezza. La società della reciprocità sia il modo che permette di vivere insieme con la grande speranza di mettersi di mezzo per fare il bene di tutti».
Nel giorno più solenne per la città, il 28 febbraio, data in cui si festeggia la Madonna delle Lacrime, nello splendido Santuario omonimo, l’Arcivescovo, che presiede la Messa del Miracolo, annoda il filo d’oro con cui il passato della storia si lega al presente e la fede nel Signore diviene via maestra su cui camminare ogni giorno della vita. Mentre tutta la Comunità che riunisce Treviglio e Castel Rozzone è in festa (con la Novena, dal 18 febbraio) si ricorda il miracolo per cui l’immagine della Madonna, il 28 febbraio 1522, pianse per 6 ore consecutive, muovendo a pietà il generale francese Lautrec, e riuscendo, così, a salvare il paese dall’assedio e la popolazione da morte e lutti. «Gioite nel Signore, sempre» è il titolo della Novena – predicata dal vescovo ausiliare, monsignor Luca Raimondi – scelto per questo 499 anniversario che culmina, appunto, con la Messa in cui viene svelata la venerata immagine mariana, velata la sera precedente nella Celebrazione in cui si è ricordato anche il 50° anniversario esatto di Ordinazione presbiterale del vescovo trevigliese monsignor Giuseppe Merisi, avvenuta proprio nel Santuario.
In un tempo e in un territorio fortemente provati dal dolore per la pandemia, la Messa, concelebrata da una quindicina di sacerdoti tra cui il vescovo Raimondi e il prevosto e responsabile della Comunità pastorale, monsignor Norberto Donghi, diviene così il momento per una riflessione e una preghiera intense, cui prende parte tutta la comunità, dai fedeli presenti in Santuario – in prima fila ci sono il presidente della Provincia di Bergamo, Gianfranco Gafforelli, i sindaci di Treviglio Juri Imeri e di Castel Rozzone Luigi Rozzoni – ai tanti collegati, in diretta, via video e streaming.
L’omelia dell’Arcivescovo
«La città di Treviglio si può presentare dicendo delle opere d’arte custodite come memoria del suo passato, si può conoscere raccontando la sua storia, momenti gloriosi e i momenti drammatici, si può far conoscere per la sua intraprendenza, la sua capacità di produrre, di organizzarsi, si può dire delle sue radici cattoliche e della presenza di istituzioni educative, della vivacità della vita civile», dice, aprendo la sua omelia, il vescovo Mario. Ma esiste una definizione migliore – suggerisce -: «Treviglio, la città che una donna può salvare. Maria, la donna mite, ha commosso e convertito il temibile nemico con le sue lacrime. Non erano riusciti a salvare la città i consoli del borgo per quanto si siano umiliati di fronte a Lautrec; non riuscì il nobile Bernabò Visconti di Brignano, non riuscirono le autorità ecclesiastiche, ma una donna, Maria, ha salvato la città».
Chiaro, allora, il compito della testimonianza, specie in giorni nei quali si susseguono, quotidianamente, notizie di tragici femminicidi: «Una città salvata da una donna riconosce una vocazione a onorare la dignità, il valore, la presenza essenziale di una donna e delle donne per il bene della città. La cosa sarebbe ovvia in una comunità cristiana, se non fosse che le notizie di cronaca e i linguaggi usati nella comunicazione pubblica e privata documentano talora violenze, disprezzo, scarsa attenzione, strumentalizzazione delle donne».
Treviglio, insomma, «è chiamata a testimoniare una società della reciprocità», fatta «da uomini e donne che sanno apprezzare la differenza senza interpretarla come una gerarchia»; composta da cittadini che sanno «di aver bisogno gli uni degli altri, anche di gente che viene da altri Paesi».
Una società aperta e inclusiva, questa, che «che non è preoccupata del politicamente corretto, piuttosto cerca la comunicazione, si dispone ad ascoltare, ringrazia per quella condivisione che giova al bene di tutti e allevia le fatiche di ciascuno»
Il pensiero torna alle donne: «La società della reciprocità sa ringraziare perché sperimenta quanto siano necessari, per la salvezza della città, i contributi di tutti, ma si rende conto che spesso le donne pagano un prezzo più alto per custodire la vita, curare la qualità della vita, per giovare a una convivenza che porti i tratti della gentilezza, della solidarietà, della fiducia in Dio».
E, allora, davvero le lacrime di Maria possono indicare a ognuno «la via di salvezza che lei ha praticato». Quella «di mettersi di mezzo, di prendere parte all’angoscia della città. In questo Maria, la Madre, continua a obbedire al comando di Gesù: “Donna, ecco tuo figlio”. È l’invito a farsene carico, a mettere in gioco la sua vita perché il figlio viva. Per contribuire alla salvezza della città non c’è altra via: non pensare solo a te, al tuo interesse particolare, alla cerchia ristretta della tua casa. Anche tu mettiti di mezzo, partecipa al dramma che affligge la gente. Lasciati scomodare dal bisogno che riconosci intorno a te, prenditi cura anche dell’estraneo, come fosse un figlio che ti è affidato».
La via della salvezza è quella che sa riconoscere e ricordare a ogni figlio e figlia l’altezza della sua vocazione. Una consapevolezza oggi più che mai necessaria in un tempo di emergenza educativa, alla quale l’Arcivescovo fa esplicito riferimento. «I padri e le madri devono invitare i figli a non buttarsi via. Non porremo rimedio ai problemi dei giovani d’oggi rimproverandoli, viziandoli, accondiscendendo a ogni loro bisogno, ma piuttosto indicando a ciascuno che c’è una ragione per cui vale la pena di vivere, impegnarsi, studiare, donarsi».
«Maria ha commosso Lautrec e l’ha convinto a risparmiare Treviglio, non perché gli ha spiegato le ragioni, non perché gli ha fatto paura minacciando castighi. Maria ha pianto e questo pianto ha toccato l’intimità di un uomo, là dove sentimento, pensiero, volontà sono quell’animo inaccessibile e fecondo da cui viene il sentire, del pensare, dell’agire. Così si salva la città, toccando il cuore delle persone facendo nascere dal di dentro pensieri buoni, sentimenti benevoli, decisioni giuste».
A conclusione, monsignor Donghi, osserva: «Ci siamo preparati con una Novena davvero speciale grazie alla predicazione carismatica e coinvolgente del vescovo Luca». E seppure il contingentamento ha costretto a attrezzarsi con televisione e streaming, «guardando ai numeri di chi ci seguiva in diretta possiamo dire che mai così tanti hanno partecipato alla Novena, anche fuori della nostra comunità: La situazione è diventata occasione. Tuti noi ricordiamo la Messa dello scorso anno a porte chiuse – l’Arcivescovo anche nel 2020 aveva presieduto il Rito in Santuario – in un clima quasi surreale, ma lei non ci ha mai lasciati soli, esprimendo più volte vicinanza e solidarietà a questo territorio particolarmente colpito dalla pima ondata della pandemia. L’aspettiamo l’anno prossimo insieme a tutti i Vescovi della Lombardia».
E dopo i doni tradizionali, con l’offerta da parte del sindaco di Treviglio del cero, è il vescovo Mario a esprimere il proprio ringraziamento sentito «a tutti coloro che si sono riuniti in preghiera. Sono contento di essere qui oggi. L’ultima volta che sono stato a Treviglio è stato per la Messa di suffragio per i tanti defunti portati via dal Covid in un momento difficile e drammatico (era il 20 maggio 2020). Oggi sono qui a celebrare la salvezza di Treviglio e spero di poter celebrare, non solo i 500 anni del miracolo, ma anche una comunità cristiana che sia chiesa dalle genti, capace di dare speranza con la sua presenza, carità e gioia. Celebreremo anche i 500 anni di una città che speriamo sia in pieno fervore di ripresa, d solidarietà, di capacità di affrontare le sfide di questo tempo».