Il titolo della lettera pastorale Pietre vive che il compianto cardinale Dionigi Tettamanzi scrisse nel 2009 si rifà alla prima lettera di Pietro che ci presenta Cristo quale «pietra d’angolo, scelta e preziosa»: opportunamente quindi può costituire il tema conduttore della celebrazione eucaristica vigiliare del prossimo 4 maggio (preceduta dal Rosario alle 20.30), nella quale si festeggerà il 260° anniversario della dedicazione della chiesa dei Santi Carlo e Rocco del rione Pradelmatto di Erba, avvenuta il 5 maggio 1762 ad opera dell’allora Prevosto Airoldi, dopo l’approvazione dell’Arcivescovo di Milano cardinale Pozzobonelli.
Per l’occasione il cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato Vaticano, lo scorso 16 marzo in Vaticano, nel corso di una udienza privata, ha benedetto la tela che riproduce l’immagine della chiesa eseguita dall’artista Roberto Testa di Canzo, scrivendo sul retro queste parole: «Mi unisco alla gioia per i 260 anni della Chiesa di san Carlo e san Rocco di Erba e auspico che continui ad essere luogo d’incontro con il Signore. Con l’imposizione della mia preghiera».
La chiesa voluta dal popolo di Incino in effetti ha sempre mantenuto con Erba un legame profondo: qui, ogni anno, nelle domeniche del mese di maggio si tiene la preghiera Mariana del Rosario animata dalla Confraternita d’Incino; inoltre a metà agosto si celebra la festa assai sentita dell’Assunta e di San Rocco e, da qualche anno, è stata ripristinata la festa del compatrono San Carlo.
Come ebbe a dire monsignor Delpini nella festa della Dedicazione del Duomo di Milano, «festeggiamo la vocazione di questa casa di preghiera, perché sia un luogo dove sperimentare che Dio è presente e asciuga ogni lacrima dagli occhi”. Sono davvero molte le lacrime da asciugare in questo nostro tempo così tormentato: le lacrime di chi ha perso i propri cari a motivo dell’epidemia che da oltre due anni, a fasi alterne, non ci abbandona; e ora, le lacrime prodotte da una guerra che in Ucraina sta portando morte, dolore, sofferenza in tante persone, soprattutto bambini e anziani, e che sta creando angoscia e apprensione in tutto il mondo.
Queste lacrime si mescolano all’interpellanza che sale a Dio come una preghiera: «Dove sei Dio?», domanda che solo apparentemente rimane senza risposta. Infatti non è così, come suggerisce l’Arcivescovo: «Il modo di Dio di rispondere è quello di farsi vicino a chi piange per asciugare ogni lacrima dai loro occhi, per invitare tutti a entrare nella creazione nuova, nella città santa, la Gerusalemme nuova. Tutti sono invitati a entrare nella tenda di Dio con gli uomini».
Quella tenda è la casa di preghiera, la chiesa, edificio fatto di “pietre”, che nel loro unirsi e cementarsi l’una sull’altra, formano il tempio sacro e diventano “vive” perché simboleggiano una comunità che, saldamente unita, si ritrova a pregare con fiducia e devozione per i bisogni dell’umanità e, soprattutto oggi, per ottenere la pace.