In occasione della Quaresima, la parrocchia di san Simpliciano di Milano propone un ciclo di meditazioni di don Giuseppe Angelini sul libro del profeta Osea, a partire dalla frase: «Misericordia io voglio e non il sacrifici». Prossimo appuntamento, il 29 febbraio alle 21, in Basilica. Si mediterà su “Non c’è sincerità, né amore del prossimo, né conoscenza di Dio nel paese” (nel box a sinistra il programma degli incontri)
Presentazione del cammino
Misericordia io voglio e non il sacrifici: per due volte la sentenza di Osea (6, 6) torna sulla bocca di Gesù; il vangelo di Matteo sceglie questa sentenza, tra le molte altre che la predicazione dei profeti offre, per opporre la fede scritta nel cuore alla religione farisaica e rituale. La prima volta la citazione è sulla bocca di Gesù in risposta alla mormorazione dei farisei contro di lui, che egli mangia con pubblicani e peccatori; l’accento in quel caso è sulla misericordia; la citazione è infatti ulteriormente interpretata con il proverbio, non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati. La seconda volta invece la citazione è sulla bocca di Gesù in risposta alla contestazione che rivolta ai discepoli che sgranano spighe in giorno di sabato; in quel caso l’accento è sul carattere interiore dell’obbedienza a Dio; il sacrificio del cuore è opposto a quelli esteriori del tempio.
Il privilegio accordato da Matteo alla sentenza di Osea corrisponde al rilievo obiettivo che questo profeta ha quale iniziatore della religione del cuore.
E dire che si tratta di un profeta molto antico. Predica infatti nel regno del Nord pressappoco tra il 745 e il 725 a. C. È sostanzialmente con-temporaneo di Amos, primo dei cosiddetti profeti ‘scrittori’, dei profeti cioè i cui oracoli sono raccolti in un libro. Anche Amos predica nel regno del Nord, pur provenendo dalla Giudea; Osea invece è originario del Nord. Vive in una stagione molto arcaica, eppure appare straordinariamente moderno.
La sua modernità e la sua fama è legata soprattutto alla vicenda matrimoniale vissuta in prima persona. Ebbe una moglie infedele; la sposò addirittura su comando preciso di Dio, così dice; da essa ebbe figli, della cui paternità non era del tutto sicuro. I tratti precisi di questa vicenda matrimoniale non sono facili da ricostruire; se ne parla in due capitoli del libro, nel capitolo 1 e nel capitolo 3; il primo è scritto in terza persona, presumibilmente da qualche discepolo; mentre il capitolo 3 è scritto in prima persona e prospetta una conversione futura della sposa adultera.
La storia personale di Osea è difficile da ricostruire; diventata momento del suo ministero profetico, egli ne parla con attenzione al messaggio più che alla biografia . La sposa adultera, addirittura prostituta, o quanto meno portata alla prostituzione, diventa metafora per dire dell’infedeltà di Israele; e l’amarezza del profeta, sposo tradito, diventa metafora per dire addirittura dell’amarezza di Dio tradito dal suo popolo.
La modernità di Osea, al di là della vicenda matrimoniale, è legata al ricorso sistematico ed efficace che egli fa al lessico dei sentimenti per dire dell’alleanza, della fede dunque, e della relazione con Dio in generale. La religione moderna è ridotta in maniera sistematica, spesso anche con precipitosità sospetta, al registro dei sentimenti. Ma i sentimenti in Osea non sono soltanto affetti interiori; sono la radice dei comportamenti. Egli espressamente accusa l’amore del popolo di Israele, evanescente come una nebbia, d’essere come una nube del mattino, come la rugiada che all’alba svanisce. Il ricorso al registro dei sentimenti non è dunque, nel caso di Osea, segno d’indulgenza ad una religione affettiva. La sua parola, come quella di tutti i profeti, è parola tagliente come una spada: Per questo li ho colpiti per mezzo dei profeti, li ho uccisi con le parole della mia bocca; o tagliente come un raggio di sole, che non consente più di rimanere nascosti: il mio giudizio sorge come la luce.
Amore Dio vuole, dunque; hesed si può tradurre amore, fedeltà, misericordia, benevolenza; nei diversi impieghi assume di volta in volta l’una o l’altra connotazione privilegiata; in ogni caso dice di una disposizione interiore, e non invece di un gesto religioso esteriore, come è tipicamente il sacrificio. La sentenza di Osea è raddoppiata dicendo che Egli vuole la conoscenza di Dio più degli olocausti.
A questi due sostantivi, amore e conoscenza, Osea aggiunge diversi altri termini astratti, come verità, fedeltà, giustizia, diritto, per dire del retto atteggiamento interiore nei confronti di Dio. I profeti tutti svolgono la loro invettiva contro il popolo infedele non citando articoli del codice, ma descrivendo comportamenti concreti, i quali per se stessi attestano quanto poco conti Dio nella vita del popolo. Osea inizia quest’altra forma dell’invettiva: non semplicemente la denuncia di comportamenti palesemente estranei al pensiero di Dio e alle sue promesse, ma atteggiamenti che mostrano il radicale e interiore difetto di sintonia con Dio.
Osea vive in un periodo storico in cui il popolo di Israele, staccato da Gerusalemme, a contatto assiduo con il popolo cananeo e con gli Assiri, ha sostanzialmente abbandonato le pratiche rituali dei padri; non solo, ha anche dimenticato i benefici del suo Dio, anzi tutto quel cammino dell’esodo, dal quale ha preso inizio la sua storia di “figlio” di Dio. Quando Israele era giovinetto – così Dio si lamenta per bocca del profeta – io l’ho amato e dall’Egitto ho chiamato mio figlio. e tuttavia è accaduto che più li chiamavo, più si allontanavano da me; i riti stessi che essi compivano non erano a me riferiti; immolavano vittime ai Baal, agli idoli bruciavano incensi. Dicono gli studiosi che il vitello d’oro di cui si dice nei racconti del deserto (Es 32-34) sia secondo tutta probabilità una proiezione all’indietro dei vitelli d’oro costruiti in Israele ai tempi di Geroboamo.
In ogni caso, la sostituzione dell’idolo al Dio senza immagini corrisponde ad un’altra più segreta sostituzione: la preferenza accordata ai suoi benefici materiali piuttosto che al beneficio d’essere chiamato figlio. Dio ha chiamato un figlio, ma ha risposto un servo, o un cliente. Appunto per denunciare la qualità di questo tradimento la metafora nuziale appare particolarmente eloquente. Il libro di Osea avrà risonanze assai profonde in tutto l’Antico Testamento; la sua eco si trova nelle esortazioni di tutti gli altri profeti che richiamano alla religione del cuore. Avrà risonanza poi nella predicazione stessa di Gesù. La sua meditazione ci aiuterà nella penitenza quaresimale