Prendono il via giovedì 4 maggio alle 21 a Palazzo Leone da Perego le celebrazioni in occasione del centenario della nascita di don Lorenzo Milani con una serata di presentazione della figura del sacerdote di Barbiana alla presenza di Mariangela Maraviglia, storica e studiosa di don Lorenzo, e di Agostino Burberi, uno dei suoi primi allievi e oggi presidente della Fondazione don Lorenzo Milani. L’iniziativa, che gode del patrocinio della Fondazione, è organizzata dal coordinamento cittadino nato per celebrare l’anniversario sotto l’egida dell’amministrazione comunale e composto da istituti scolastici, realtà sociali, associazioni e Chiesa legnanese. «Legnano ha dimostrato storicamente, nella sua toponomastica e nell’intitolazione di una scuola primaria, un’attenzione particolare verso don Milani -sottolinea l’assessora alla Comunità inclusiva Ilaria Maffei.
Oggi, in occasione del centenario, può mettere a frutto il fatto di contare fra i suoi cittadini uno dei ragazzi di don Lorenzo, Agostino Burberi, che potrà contribuirvi in maniera preziosa, essendo stato testimone diretto del suo magistero, a far conoscere questa personalità. Don Milani, nella sua attività all’interno della piccola scuola di Barbiana, con l’attenzione rivolta ai soggetti all’epoca esclusi dall’istruzione, è stato un autentico precursore di quella che oggi potremmo a ragione definire una scuola pienamente inclusiva». Il calendario delle iniziative in Città legate al centenario è in via di definizione.
Don Lorenzo Milani, nato a Firenze il 27 maggio 1923 e ivi morto il 26 giugno 1967, a 20 anni abbandonò il mondo borghese raffinato e colto cui apparteneva la sua famiglia ed entrò in Seminario. Appena entrato in Seminario cominciò energicamente a sopprimere il suo “IO” del passato, i 20 anni che lui considerava “passati nelle tenebre”. Aveva lasciato gli agi ed i privilegi dei borghesi, la loro cultura e il loro mondo per servire il Vangelo, il Cristo, e tentare cosi di salvarsi l’anima stando dalla parte giusta dei poveri, cioè degli ultimi nella scala gerarchica, cercare di conoscerli da vicino, di viverci insieme, di imparare la loro lingua, insegnargliene un’altra, condividere le loro cause, difendere le loro ragioni. Per lui l’ingiustizia sociale era un male e andava combattuto perché offendeva Dio.
Ordinato sacerdote a 24 anni fu mandato a San Donato a Calenzano dove lavorò per una scuola popolare di operai. Nel dicembre del 1954, a causa di screzi con la Curia di Firenze che lo riteneva troppo franco e poco felpato nei toni e troppo vicino agli emarginati, fu mandato a Barbiana, minuscola e sperduta frazione di montagna nel Mugello dove entrò in contatto con una realtà di povertà ed emarginazione ben lontana rispetto a quella in cui aveva vissuto gli anni della sua giovinezza. Iniziò in quelle circostanze il primo tentativo di scuola a tempo pieno, espressamente rivolto a coloro che, per mancanza di mezzi, sarebbero stati quasi inevitabilmente destinati a rimanere vittime di una situazione di subordinazione sociale e culturale. In quelle circostanze, iniziò a sperimentare il metodo della scrittura collettiva. Gli ideali della scuola di Barbiana erano di costituire un’istituzione inclusiva, democratica, non con il fine di selezionare ma di far arrivare, tramite un insegnamento personalizzato, tutti gli alunni a un livello minimo d’istruzione garantendo l’eguaglianza con la rimozione delle differenze che derivano da censo e condizione sociale. La scuola suscitò immediatamente molte critiche e ad essa furono rivolti attacchi, sia dal mondo della chiesa sia da quello laico. Le risposte a queste critiche vennero date con “Lettera a una professoressa” (1967), in cui i ragazzi della scuola (insieme a don Milani) denunciavano il sistema scolastico e il metodo didattico che favoriva l’istruzione delle classi più ricche, mentre permaneva la piaga dell’analfabetismo in gran parte del paese. La Lettera a una professoressa fu scritta negli anni della malattia di don Milani. Pubblicato un mese prima della sua morte è diventata uno dei testi di riferimento del movimento studentesco del ’68. Altre esperienze di scuole popolari sono nate nel corso degli anni basandosi sull’esperienza di don Lorenzo e sulla Lettera a una professoressa. Fu don Milani ad adottare il motto “I care”, letteralmente mi importa, mi interessa, ho a cuore (in dichiarata contrapposizione al “Me ne frego” fascista), che sarà in seguito fatto proprio da numerose organizzazioni religiose e politiche. Questa frase scritta su un cartello all’ingresso riassumeva le finalità educative di una scuola orientata alla presa di coscienza civile e sociale.